CLASSE QUINTA - VERSIONE ORDINARIA - ECONOMIA -

 

L’ATTIVITÀ FINANZIARIA PUBBLICA

L’attività finanziaria pubblica e la scienza delle finanze

L’attività economica svolta dallo Stato e degli altri enti pubblici consistente nel procurarsi e impiegare il denaro per il soddisfacimento dei bisogni pubblici prende il nome di attività finanziaria pubblica o finanza pubblica.

I mezzi con cui Stato ed enti pubblici si procurano il denaro costituiscono le entrate pubbliche, come, per esempio, le tasse.

I modi in cui lo Stato e gli enti pubblici impiegano il denaro costituiscono le spese pubbliche, come, per esempio, le spese per la scuola o la sanità.

La scienza delle finanze, detta anche economia pubblica, studia l’attività economica della Pubblica Amministrazione ed i suoi effetti sull’attività economica dei privati.

L’attività economica pubblica è diversa dall’attività economica privata per almeno tre motivi: interesse perseguito, modo di svolgimento, potere nello svolgimento.

I motivi suddetti costituiscono, in pratica, la risposta alle seguenti domande:

A)    Perché l’attività economica viene svolta?

L’attività economia privata viene svolta per interesse personale; l’attività economica pubblica, per l’interesse generale o, per meglio dire, l’interesse ritenuto più importante in una collettività. In una società, infatti, ci sono tanti interessi; tanto per fare un esempio, tra l’interesse dei proprietari di case di avere dei soldi dallo Stato per abbellire le facciate delle loro abitazioni e l’interesse di coloro che non lavorano di essere aiutati, lo Stato italiano ha scelto quest’ultimo interesse, dando il reddito di cittadinanza;

B)    Come viene svolta?

La PA esercita l’attività economica pubblica offrendo bene e servizi di solito gratuitamente, procurandosi il denaro con le tasse.

Il privato svolge l’attività economica privata procurandosi ed offrendo beni e servizi a pagamento, come nel caso del negoziante che compra la merce e poi la rivende a prezzo maggiorato ai propri clienti;

C)    Con quale mezzo viene svolta?

La PA, nell’esercizio dell’attività economica pubblica, ha il potere di imporre le sue scelte, come, per esempio, il potere di obbligare i cittadini a pagare le tasse;

I privati, nello svolgere l’attività economica privata, non hanno il potere di imporre le loro scelte: chi vuole vendere non può obbligare gli altri a comprare, ma deve avere il loro consenso.

 

I soggetti della finanza pubblica

I soggetti della finanza pubblica sono lo Stato e gli enti pubblici, come i Comuni, tipo il comune di Roma, o l’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale (INPS), che paga le pensioni. Stato ed enti pubblici costituiscono la Pubblica Amministrazione.

 

La finanza pubblica come strumento di politica economica

Definizione di politica economica

La politica economica è l'intervento dello Stato nell'economia, cioè, essenzialmente, nell'attività di produzione e consumo di un Paese, come avviene, per esempio, quando lo Stato riduce le tasse per permettere alla popolazione di spendere di più.

Obiettivi della politica economica

Gli obiettivi della politica economica sono:

-          la crescita della produzione;

-          la piena occupazione delle risorse necessarie per produrre, come, per esempio, l'occupazione di tutti i lavoratori;

-          l'equa distribuzione del reddito prodotto in uno Stato, nel senso che il reddito deve essere distribuito tenendo conto sia del contributo dato da ciascuno alla sua produzione sia della necessità di assicurare a tutti un'esistenza libera e dignitosa;

-          la stabilità del livello dei prezzi, ossia il mantenimento dei prezzi allo stesso livello, evitando sia eccessivi aumenti, perché ridurrebbero la capacità dei consumatori di spendere, sia eccessive diminuzioni, perché ridurrebbero la capacità delle imprese di guadagnare, con la conseguenza che sarebbero costrette a licenziare dipendenti, i quali, rimanendo privi di reddito, consumerebbero di meno, con ulteriore diminuzione dei guadagni degl'imprenditori.

Tipi di politica economica

La politica economica può essere espansiva o restrittiva.

La politica espansiva ha lo scopo di far aumentare il reddito nazionale.

La politica restrittiva persegue il fine di contenere l'inflazione, cioè l'aumento dei prezzi.

Pressione tributaria

La pressione tributaria è il rapporto tra i tributi e il prodotto interno lordo (P = T/Y): più alto il rapporto, maggiore la pressione tributaria.

Esso può avere sia effetti positivi che negativi.

Per quanto riguarda gli effetti positivi, occorre considerare che nella fase di espansione dell’economia, l’aumento della pressione tributaria limita l’inflazione, in quanto, riducendo la ricchezza privata e, di conseguenza, la domanda di beni e servizi, evita che la domanda superi l’offerta, con conseguente aumento dei prezzi.

Relativamente agli effetti negativi, si consideri che le famiglie, per non rinunciare ai consumi possono:

-          da un lato, lottare per conquistare aumenti salariali, con conseguenti tensioni sociali;

-          da un altro lato, ridurre il risparmio con conseguente riduzione degli investimenti, che sono necessari per lo sviluppo economico.

Da quanto detto deriva che l’Amministrazione deve individuare il punto critico oltre il quale l’aumento della pressione tributaria sortisce più effetti negativi che positivi.

Dagli effetti della pressione tributaria risulta evidente il rapporto tra finanza pubblica e politica economica, nel senso che le entrate, ma anche le spese incidono sull’economia, come, per esempio, si è visto per l’inflazione.

LA POLITICA DELLA SPESA

La spesa pubblica e la sua struttura

La spesa pubblica è la somma spesa dallo Stato e dagli altri enti pubblici, come i Comuni, per il conseguimento dei fini pubblici.

Le spese pubbliche si dividono in:

-          spese correnti e spese in conto capitale:

·         le prime sono somme destinate al consumo, come quelle per gli stipendi degli insegnanti, la manutenzione delle scuole, l’acquisto di materiali di consumo (come penne, matite, gesso e simili), il reddito di cittadinanza, eccetera;

·         le seconde sono somme destinate all’investimento, come quelle per l’acquisto degli edifici o anche per il finanziamento delle imprese;

-          spese per beni e servizi e spese per trasferimenti:

·         le prime sono somme pagate per acquistare beni, come i letti di un ospedale, e servizi, come gli stipendi dei medici; quindi sono spese sostenute in cambio di una controprestazione;

·         le seconde sono somme erogate senza controprestazione, come il reddito di cittadinanza.

L’art. 107 del TFUE (Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea) vieta i cosiddetti “aiuti di Stato”, vieta, cioè, agli Stati dell’Unione Europea di dare soldi alle imprese se non in casi particolari, come le calamità naturali; la ragione del divieto è quella di evitare che gli aiuti favoriscano alcune imprese a danno di altre, falsando, così, la concorrenza.

Una categoria particolare di spese è quella delle spese d’ordine, costituita dalle somme spese per procurare le entrate, per esempio quelle destinate a scovare gli evasori: la differenza tra le entrate e le spese d’ordine misura l’efficienza dell’amministrazione finanziaria, cioè di quel ramo dell’amministrazione che gestisce le entrate degli enti pubblici.

 

Gli effetti economici della spesa pubblica

L’aumento della spesa pubblica, da un lato, è positivo, perché determina un aumento della domanda globale, cioè dei consumi e degli investimenti di un Paese, ma, dall’altro, è negativo, perché, oltre un certo livello, causa inflazione e aumento del deficit pubblico, cioè della differenza tra spese ed entrate dello Stato.

L’aumento della spesa pubblica

La spesa pubblica tende ad aumentare nel tempo, se non altro in conseguenza dell’aumento della popolazione e, quindi, dei bisogni pubblici da soddisfare.

Mentre, però, nel passato essa aumentava lentamente, a partire dalla metà del secolo scorso, l’incremento è stato più rapido per almeno due ragioni:

-          l’adeguamento delle cosiddette infrastrutture, come strade e ponti, allo sviluppo dell’economia (per esempio, poiché lo sviluppo economico comporta l’aumento dei trasporti, sono necessarie nuove strade);

-          la richiesta di nuovi e migliori servizi pubblici da parte di una popolazione, non solo aumentata, ma anche dotata di maggior potere decisionale: la diffusione dei regimi democratici, per i quali la sovranità appartiene al popolo, ha, infatti, aumentato il potere dei cittadini, che, tramite partiti e sindacati, chiedono sempre più servizi allo Stato.

 

Il contenimento della spesa

Per ridurre gli effetti negativi dell’incremento della spesa pubblica, gli Stati, a partire dagli anni ’80, hanno adottato politiche di riduzione della stessa, ma non sempre con successo, dato che la diminuzione della spesa determina la diminuzione dei servizi pubblici e, quindi, è impopolare; inoltre, essa causa una riduzione della domanda globale con il rischio che si riduca la produzione ed aumenti la disoccupazione.

La riduzione della spesa pubblica deve, quindi, essere graduale, cioè poco alla volta, e non lineare, nel senso che non deve essere ridotta tutta la spesa, ma solo quella che non contrasta con lo sviluppo economico; così, per esempio, è meglio ridurre la spesa corrente piuttosto che quella in conto capitale.

LA POLITICA DELL’ENTRATA

Le entrate pubbliche

Le entrate pubbliche sono le somme ricevute dallo Stato per finanziare la spesa pubblica.

Le entrate pubbliche si dividono in:

-          tributi: prelievi coattivi di ricchezza, che si distinguono in imposte, tasse e contributi;

-          prezzi: proventi dei beni e delle aziende pubbliche;

-          prestiti: capitali, costituenti il cosiddetto debito pubblico, ricevuti in prestito da altri soggetti.

Le entrate pubbliche sono poi ulteriormente classificate, tra l’altro, in:

-          entrate ordinarie: somme riscosse periodicamente, come i tributi;

-          entrate straordinarie: somme derivanti dalla cessione di beni, come immobili statali.

I prezzi sono i corrispettivi dei beni e servizi pubblici venduti.

-          Essi possono essere privati, quasi privati, pubblici e politici.

-          I prezzi privatisi formano liberamente secondo la legge della domanda e dell’offerta: maggiore la domanda, maggiore il prezzo e viceversa; maggiore l’offerta, minore il prezzo e viceversa. Per esempio, i prezzi dei prodotti ceduti da un’azienda agricola annessa ad un istituto agrario.

-          I prezzi quasi privati si formano secondo la legge della domanda e dell’offerta, ma la Pubblica amministrazione, nel formulare l’offerta, considera non solo il prezzo ricavabile, ma anche il pubblico interesse; per esempio, il prezzo del legname delle foreste si forma sulla base della domanda che è libera e dell’offerta che, invece, è condizionata dalla necessità di tutelare il patrimonio forestale.

-          I prezzi pubblici o tariffe sono fissati dall’Amministrazione tenendo conto sia del profilo economico, cioè della necessità di coprire i costi, sia di quello sociale, come la necessità di garantire il servizio a un numero di persone maggiore di quelle che lo richiederebbero ad un prezzo privato; ne sono un esempio, il prezzo dei francobolli e la tariffa dei rifiuti.

-          Nel passato, i prezzi pubblici erano più numerosi (come, per esempio, i prezzi dei biglietti ferroviari o le tariffe di luce e gas), in quanto i servizi pubblici erano erogati direttamente dagli Enti pubblici.

-          Attualmente, questi servizi sono gestiti per la maggior parte da aziende a partecipazione pubblica (di cui, cioè, gli Enti pubblici sono soci) o da aziende private.

-          Nel caso di gestione indiretta dei servizi, l’Amministrazione interviene comunque nella formazione dei prezzi, nel senso che ne fissa i criteri, come, per esempio, nel caso della tariffa del servizio elettrico di maggior tutela.

-          I prezzi politici sono fissati dall’Amministrazione, ma, a differenza di quelli pubblici, sono, di regola, inferiori ai costi sostenuti per erogare i servizi, al fine di renderli accessibili a tutti, come il prezzo pagato per la mensa scolastica.

 

Le tasse e i contributi

Nel linguaggio comune, i soldi che lo Stato impone di pagare ai cittadini vengono chiamati tasse, mentre dovrebbero essere chiamati tributi.

Il tributo è, quindi, il prelievo coattivo di ricchezza, cioè imposto con la forza, da parte dello Stato nei confronti dei contribuenti, cioè di tutti coloro che per legge devono pagare lo Stato.

I tributi si distinguono in tasse, contributi e imposte.

La tassa è il corrispettivo per un servizio divisibile; corrispettivo significa somma pagata; servizio divisibile è un servizio che lo Stato può dividere tra le persone, rendendolo solo a chi paga, come per esempio, la tassa scolastica per la partecipazione all’esame di Stato; in questo caso, il servizio “esame di Stato” è divisibile, nel senso che lo Stato può dividere il servizio, rendendolo solo agli studenti che pagano la tassa ed escludendo quelli che non la pagano.

I contributi sono il corrispettivo di un servizio parzialmente divisibile, cioè di un servizio di cui si avvantaggia tutta la collettività, ma soprattutto il contribuente.

Un esempio di contributo è dato dagli oneri di urbanizzazione, cioè dalle somme pagate ai Comuni da chi costruisce una casa per l’allaccio, per esempio, alla rete fognaria: è evidente che della rete in questione si avvantaggia tutta la collettività, dato che si riduce il rischio di malattie, ma si avvantaggia in modo speciale chi costruisce la casa per la comodità derivante dal collegamento alla rete stessa.

Le imposte

L'imposta è un prelievo coattivo di ricchezza operato dallo Stato o da un altro ente pubblico.

Essa è, quindi, una somma denaro che i contribuenti pagano in base, per esempio, a quanti soldi guadagnano.

L’imposta non è il corrispettivo di un servizio divisibile, ma finanzia i servizi indivisibili, cioè quelli che lo Stato non può dividere fra le persone, come, per esempio, l’illuminazione pubblica: è evidente che lo Stato non può coprire, di sera, gli occhi di chi non paga i tributi per impedirgli di godere dell’illuminazione; pertanto, se lo Stato facesse pagare solo coloro che dichiarano di volere l’illuminazione, moltissimi, pur di non pagare, direbbero che a loro  non interessa, tanto potrebbero comunque goderne.

L’unico modo per illuminare le strade è quindi quello di far pagare tutti, in base, per esempio, al loro reddito.

Il presupposto dell'imposta è l'atto o il fatto, previsto dalla legge, da cui si può desumere la capacità contributiva di un soggetto, cioè la disponibilità di reddito o di patrimonio con cui pagare le imposte.

Gli elementi dell'imposta sono: il soggetto attivo, il soggetto passivo, l'oggetto, la base imponibile e l'aliquota.

Il soggetto attivo è la pubblica amministrazione.

Il soggetto passivo è il contribuente. In alcuni casi, per rendere più certo e rapido il pagamento dell'imposta, la legge stabilisce che esso sia eseguito da una persona diversa dal contribuente, detta sostituto d'imposta, come è il caso del datore di lavoro, che paga l’imposta per conto dei propri dipendenti, trattenendo il relativo importo dallo stipendio degli stessi.

L'oggetto dell'imposta è la ricchezza su cui essa viene applicata. Così, per esempio, l'oggetto dell’imposta detta Irpef è il reddito del contribuente; l'oggetto dell'imposta detta IVA è, invece, il prezzo del bene comprato.

La base imponibile è il valore monetario dell’oggetto dell’imposta, cioè della ricchezza su cui viene applicata.

L'aliquota è il rapporto fra l'ammontare dell'imposta e l'ammontare della base imponibile; esso si esprime in percentuale. Così, per esempio, se l'ammontare dell'imposta è 100 e l'ammontare della base imponibile è 1000, l'aliquota sarà del 10%.

Classificazione delle imposte in dirette ed indirette

Le imposte si possono classificare secondo vari criteri, le principali classificazioni sono: 1)  imposte dirette e indirette; 2) imposte proporzionali, progressive e regressive.

Le imposte dirette colpiscono le manifestazioni immediate della capacità contributiva, cioè il reddito o il patrimonio. 

Considerato, infatti, che, come abbiamo detto, la capacità contributiva consiste nella disponibilità di reddito di patrimonio con cui pagare le imposte, è evidente che il possesso di reddito o di patrimonio costituiscono la manifestazione immediata della capacità contributiva, per cui le imposte che si basano su di essi sono appunto dette imposte dirette. 

Le imposte indirette, invece, colpiscono le manifestazioni mediate della capacità contributiva, cioè gli atti da cui si desume che un soggetto dispone di reddito o di patrimonio. Così, per esempio, se un soggetto compra un’auto, si presume che lo stesso disponga del reddito o del patrimonio da cui prelevare la somma necessaria a pagarla.

 

Capacità contributiva e progressività dell’imposta

La capacità contributiva è la disponibilità dei mezzi - denaro e altri beni - necessari per pagare le imposte.

L’art. 53 della Costituzione, al primo comma, prevede che “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”, mentre al secondo comma, che “Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.

L’art. 53 contiene tre principi: universalità, uguaglianza e progressività.

Il primo significa che tutti devono pagare i tributi e si ricava dall’espressione “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche”.

Il secondo principio - uguaglianza - comporta che i tributi da pagare siano rapportati alla capacità contributiva, in quanto se tutti dovessero pagare la stessa somma, indipendentemente dalla loro ricchezza, significherebbe che persone in situazioni diverse sarebbero trattate allo stesso modo; e ciò contrasterebbe con l’art. 3 della Cost.  Tale principio si desume dalle parole “in ragione della loro capacità contributiva”.

Il terzo principio - progressività - implica che i tributi devono crescere più che proporzionalmente all’aumentare della capacità contributiva. Così, per esempio, se chi ha 100 deve pagare 10, chi ha il doppio, cioè 200, deve pagare più del doppio, ossia più di 20, per esempio 30.

La ragione della progressività è data, per un verso, dal dovere di solidarietà sancito dall’art. 2 della Costituzione, per altro verso, dal fatto che chi guadagna di più avrà, dopo il pagamento dell’imposta, la disponibilità di una somma maggiore di chi guadagna di meno, per cui potrà comunque soddisfare i propri bisogni in misura superiore a chi guadagna di meno, pur se questi paga minori imposte.

Si sottolinea che non ogni singolo tributo, ma i tributi nel loro insieme, devono aumentare più che proporzionalmente all’incremento della capacità contributiva.

Se, infatti, ogni tributo dovesse essere progressivo, i tributi come l’IVA sarebbero incostituzionali, in quanto essa è dovuta in una percentuale fissa del costo dei beni acquistati (attualmente pari, di regola, al 22%), indipendentemente dalle possibilità economiche di chi li compra.

 

Classificazione delle imposte in proporzionali, progressive e regressive

Le imposte si suddividono poi in proporzionali, progressive e regressive, a seconda che l'aliquota applicata sia costante, crescente o decrescente. 

Nel caso delle imposte proporzionali, quindi, essendo l'aliquota costante, l'importo dell'imposta aumenterà proporzionalmente all'aumentare della base imponibile. Così, per esempio, se l’aliquota è del 10%, chi guadagna 100, pagherà 10, chi guadagna 200, pagherà, 20, e così via.

Nel caso delle imposte progressive, essendo l'aliquota crescente, l'importo dell'imposta aumenterà più che proporzionalmente all'aumentare della base imponibile. Così, per esempio, se l’aliquota è del 10% per redditi fino a 100 e del 20% per redditi da 100 a 200, chi guadagna 100, pagherà 10, chi guadagna 200, pagherà 10 fino a 100 e 20 sugli altri 100, per un totale di 30.

Nel caso delle imposte regressive, essendo l'aliquota decrescente, l'importo dell'imposta aumenterà meno che proporzionalmente all'aumentare della base imponibile. Così, per esempio, se l’aliquota è del 10% per redditi fino a 100 e del 5% per redditi da 100 a 200, chi guadagna 100, pagherà 10, chi guadagna 200, pagherà 10 fino a 100 e 5 sugli altri 100, per un totale di 15.

In sintesi, negli esempi di cui sopra, chi guadagna 200, pagherà 20 con l’imposta proporzionale, 30 con l’imposta progressiva e 15 con l’imposta regressiva.

La progressività di cui sopra, attuata in Italia, è a scaglioni, nel senso che il reddito è diviso in parti a ciascuna delle quali si applica un’aliquota diversa.

 

LA POLITICA DI BILANCIO

Le differenti forme del bilancio dello Stato

Il bilancio è il prospetto contabile da cui risultano le entrate e le spese dello Stato relative a un certo periodo di tempo.

Il bilancio si distingue in:

-          preventivo: prevede entrate e spese future;

-          consuntivo: riporta entrate e spese dell’anno passato.

I bilanci preventivo e consuntivo sono redatti secondo un duplice criterio: competenza e cassa.

Il bilancio preventivo riporta:

-          secondo il criterio di competenza, entrate da accertare (crediti da acquisire) e spese da impegnare (debiti da contrarre);

-          secondo il criterio di cassa, entrate da riscuotere (crediti da farsi pagare) e spese da pagare (debiti da pagare).

Il bilancio consuntivo riporta:

-          secondo il criterio di competenza, entrate accertate (cioè: crediti acquisiti) e spese impegnate (debiti contratti);

-          secondo il criterio di cassa, entrate riscosse (cioè: crediti pagati) e spese pagate (debiti pagati).

Il bilancio preventivo, poi, è sia annuale che pluriennale, nel senso che riporta entrate e spese per i tre anni successivi alla sua approvazione, anche se solo per il primo anno esso comporta autorizzazione a riscuotere le entrate e ad eseguire le spese ivi contemplate.

 

Natura e principi del bilancio dello Stato

Il bilancio dello Stato ha natura composita, come risulta dalle molteplici funzioni che esso svolge e, in particolare:

-          contabile, in quanto rappresenta la situazione economica del Paese;

-          politica, in quanto, attraverso il bilancio, il Parlamento controlla che le entrate e le spese servano per raggiungere i fini per il cui conseguimento il Parlamento stesso aveva dato la fiducia al Governo, aveva, cioè, approvato la nomina del Governo fatta dal Presidente della Repubblica;

-          giuridica, in quanto, attraverso il bilancio, si controlla che il Governo non preveda spese e, soprattutto, entrate diverse da quelle che risultano dal bilancio stesso;

-          politica economica, in quanto il bilancio, rappresentando la situazione economica complessiva dello Stato, permette di coordinare gli interventi pubblici per conseguire i fini perseguiti.

I principi del bilancio sono:

-          annualità: il bilancio è approvato annualmente;

-          integrità: le entrate sono registrate al lordo delle spese di riscossione e le spese al lordo delle entrate come, per esempio, ticket sanitari;

-          universalità: tutte le entrate e le spese devono risultare dal bilancio;

-          unità: le entrate, di regola, confluiscono in un unico fondo, gestito dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, con cui si finanziano tutte le spese, gestite dagli altri Ministeri (cosiddetto divieto di tributi di scopo);

-          veridicità: divieto di sopravvalutare le entrate e di sottovalutare le spese;

-          specificazione ciascuna entrata e spesa è votata separatamente, come meglio si chiarirà trattando della classificazione delle entrate e delle spese in bilancio;

-          pubblicità: il bilancio deve essere pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

I principi del bilancio si ricavano dalla normativa in materia, nell’ambito della quale occorre distinguere tra Costituzione e legge ordinaria.

Per quanto riguarda la Costituzione, gli articoli che trattano del bilancio sono:

-          81:

·         c.1: Lo Stato assicura l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico [principio del pareggio ciclico].

[Il principio di pareggio del bilancio non si applica solo allo Stato, ma anche agli Enti locali e, più in generale, alla Pubblica amministrazione; allo Stato, inoltre, è riservato il compito di armonizzare i vari bilanci pubblici, come risulta dalle norme costituzionali che seguono:

Ø  97, c. 1: Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l'ordinamento dell'Unione europea, assicurano l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico.

Ø  117:

ü  c. 1: La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.

ü  c. 2: Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: e) […] armonizzazione dei bilanci pubblici […];

Ø  119, c. 1: I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell'equilibrio dei relativi bilanci […];

·         c. 2:Il ricorso all'indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali.

·         c. 3:Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte.

·         c. 4: Le Camere ogni anno approvano con legge il bilancio e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo.

·         c. 5:L'esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi.

·         c. 6: Il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l'equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni sono stabiliti con legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, nel rispetto dei principi definiti con legge costituzionale.

-          75, c. 2: Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio[…]

-          100, c. 2: controllo del bilancio, su cui vedi oltre.

Per quanto concerne la legislazione ordinaria, la legge fondamentale, succeduta alle numerose leggi in materia, è la n. 196 del 2009, ripetutamente modificata.

 

Classificazione delle entrate e delle spese

La classificazione in generale

Nel bilancio dello Stato le entrate si suddividono per titolo, per esempio, tributarie; le entrate di un dato titolo si ripartiscono per natura, per esempio, ricorrenti, e le entrate di una certa natura si dividono in tipologie, per esempio, IRPEF.

Le spese si suddividono per missioni, per esempio, istruzione scolastica; le spese di una data missione si ripartiscono per programmi, per esempio, programmazione e coordinamento dell’istruzione, e le spese di un certo programma si dividono in azioni, per esempio, spese di personale per il programma.

Per ognuna delle suddette entrate (titoli, nature e tipologie) e spese (missioni, programmi e azioni) sono indicati sia l’importo di competenza che di cassa, importi, preceduti, rispettivamente, dalle sigle CP e CS, che significano, appunto, rispettivamente, competenza e cassa.

In base al principio di specificazione, le tipologie di entrate e i programmi di spese costituiscono unità di voto parlamentare, cioè il Parlamento deve approvare ciascuna tipologia di entrate e ciascun programma di spese.

Classificazione delle entrate in bilancio

Le entrate in bilancio si suddividono in quattro titoli:

-          tributarie (es.: IVA);

-          extratributarie (es.: somme corrisposte per sanzioni);

-          alienazione e ammortamento di beni patrimoniali nonché riscossione di crediti (es.: proventi derivanti dalla vendita di immobili);

-          accensione di prestiti, cioè emissione dei titoli del debito pubblico, come i BOT, buoni ordinari del tesoro.

Le entrate dei primi tre titoli sono dette finali, in quanto rappresentano le risorse da acquisire definitivamente al bilancio per il raggiungimento dei fini dello Stato.

Le entrate del quarto titolo sono dette strumentali, nel senso che costituiscono lo strumento con il quale ripianare il deficit nel caso in cui le entrate finali non coprano le spese.

Le entrate si distinguono poi in ricorrenti e non ricorrenti a seconda che ricorrano in tutti gli esercizi finanziari (come l’IVA) o una volta ogni tanto (come i proventi derivanti dalla vendita di immobili).

Al fine di permetterne un’ordinata gestione, le entrate vengono ripartite, con decreto del Ministro dell’Economia, in unità gestionali, cioè in unità elementari di bilancio (come le ritenute sui redditi da lavoro dipendente oppure le ritenute sui redditi da lavoro autonomo nell’ambito dell’IRPEF).

Classificazione delle spese in bilancio

Le spese, come detto, si dividono per missioni (cioè, per obiettivi), programmi (ossia, per attività amministrative volte all’attuazione degli obiettivi) e azioni.

Le spese in bilancio si suddividono, come le entrate, in titoli:

-          spese correnti (somme destinate al consumo, come quelle per gli stipendi degli insegnanti, la manutenzione delle scuole, l’acquisto di materiali di consumo come penne, matite, gesso e simili, il reddito di cittadinanza, eccetera);

-          spese in conto capitale (somme destinate all’investimento, come quelle per l’acquisto degli edifici o anche per il finanziamento delle imprese);

-          rimborso di passività finanziarie (cioè, rimborso dei prestiti).

Le spese si dividono, ancora, in finali e strumentali: le prime, costituite dalle spese correnti e in conto capitale, sono quelle sostenute dalla PA per il raggiungimento dei suoi fini; le seconde sono rappresentate dal rimborso dei prestiti e sono dette strumentali, in quanto non sono volte al soddisfacimento dei bisogni pubblici, ma dirette ad estinguere i debiti.

 

I saldi di finanza pubblica

Il bilancio riporta, infine, i saldi di finanza pubblica o risultati differenziali: risparmio pubblico; saldo netto da finanziare; indebitamento netto; ricorso al mercato.

Il risparmio pubblico (detto anche saldo di parte corrente) è la differenza tra entrate correnti e spese correnti. Se attivo (cioè, se le entrate sono maggiori delle spese), significa che i bisogni pubblici programmati sono stati soddisfatti e che il maggior importo può essere investito. Se passivo, significa, invece, che, per colmare il deficit, occorre attingere al patrimonio dello Stato oppure ricorrere all’indebitamento.

Il saldo netto da finanziare è la differenza tra entrate finali e spese finali. Se passivo (cioè se le spese superano le entrate), esso rappresenta il vero e proprio passivo del bilancio, nel senso che tiene conto di tutte le entrate e di tutte le spese, correnti e in conto capitale, con la sola esclusione dei prestiti.

L’indebitamento netto è la differenza tra entrate finali e spese finali, al netto, rispettivamente, delle entrate da riscossione di crediti e delle uscite rappresentate dai finanziamenti a terzi (partecipazioni azionarie, conferimenti, etc.). L’indebitamento netto rappresenta il risultato dell’attività economica, con esclusione, quindi, delle operazioni di finanziamento.

Il ricorso al mercato è la differenza tra le entrate finali e le spese, sia finali che strumentali. Se le spese superano le entrate, cioè se il saldo è negativo, l’importo è quello che deve essere coperto mediante il ricorso al mercato del prestito, nel senso che occorre accendere un prestito.

Infatti, nella sezione del bilancio in cui sono elencate le entrate, la somma relativa all’accensione dei prestiti è uguale al saldo del risultato differenziale “ricorso al mercato”.

Di seguito si riportano i risultati differenziali relativi al bilancio preventivo relativo al 2022

 

                                                                    

Si riporta ora un esempio di quelli che potrebbero essere i risultati differenziali di un piccolo bilancio privato.

 

Entrate correnti (stipendio)

1.500

Spese correnti (consumi)

1.200

Risparmio privato

300

Entrate finali (entrate correnti + entrate in conto capitale, come vendita di oggetti personali [es. € 500] o riscossione di crediti [es.: €200])

2.200

Spese finali (spese correnti + spese in conto capitale, come acquisto di azioni per € 400)

1.600

Saldo netto da finanziare

600

Entrate finali, al netto della riscossione di crediti

2.000

Spese finali al netto dei finanziamenti a terzi (acquisto di azioni per € 400)

1.200

Indebitamento netto

800

Entrate finali (entrate correnti + entrate in conto capitale, come vendita di oggetti personali [es. € 500] o riscossione di crediti [es.: € 200])

2.200

Spese sia finali (€ 1.600) che strumentali (rimborso di un prestito, in totale o di una rata, di € 250)

1.850

Ricorso al mercato

350

 

Il controllo del bilancio dello Stato

Il controllo del bilancio dello Stato è demandato, ai sensi dell’art. 100, c. 2, della Costituzione dalla Corte dei conti, la quale esercita sia il controllo preventivo di legittimità sugli atti del Governo, sia quello successivo sulla gestione del bilancio dello Stato.

 

LE IMPOSTE DIRETTE

La struttura del sistema tributario italiano

(Generalità)

L'imposta è un prelievo coattivo di ricchezza operato dallo Stato o da un altro ente pubblico.

Il presupposto dell'imposta è l'atto o il fatto, previsto dalla legge, da cui si può desumere la capacità contributiva di un soggetto, cioè la disponibilità di reddito o di patrimonio con cui pagare le imposte.

Gli elementi dell'imposta sono: il soggetto attivo, il soggetto passivo, la base imponibile e l'aliquota.

Il soggetto attivo è la pubblica amministrazione.

Il soggetto passivo è il contribuente. In alcuni casi, per rendere più certo e rapido il pagamento dell'imposta, la legge stabilisce che esso sia eseguito da una persona diversa dal contribuente, detta sostituto d'imposta, come è il caso del datore di lavoro, che paga l’imposta per conto dei propri dipendenti, trattenendo il relativo importo dallo stipendio degli stessi.

La base imponibile è il valore monetario dell’oggetto dell’imposta, cioè della ricchezza su cui viene applicata.

L'aliquota è il rapporto fra l'ammontare dell'imposta e l'ammontare della base imponibile; esso si esprime in percentuale. Così, per esempio, se l'ammontare dell'imposta è 100 e l'ammontare della base imponibile è 1000, l'aliquota sarà del 10%.

Le imposte si possono classificare secondo vari criteri, le principali classificazioni sono: 1)  imposte dirette e indirette; 2) imposte proporzionali, progressive e regressive.

Le imposte dirette colpiscono le manifestazioni immediate della capacità contributiva, cioè il reddito o il patrimonio. 

Considerato, infatti, che, come abbiamo detto, la capacità contributiva consiste nella disponibilità di reddito di patrimonio con cui pagare le imposte, è evidente che il possesso di reddito o di patrimonio costituiscono la manifestazione immediata della capacità contributiva, per cui le imposte che si basano su di essi sono appunto dette imposte dirette. 

Le imposte indirette, invece, colpiscono le manifestazioni mediate della capacità contributiva, cioè gli atti da cui si desume che un soggetto dispone di reddito o di patrimonio. Così, per esempio, se un soggetto compra un’auto, si presume che lo stesso disponga del reddito o del patrimonio da cui prelevare la somma necessaria a pagarla.

Classificazione delle imposte in proporzionali, progressive e regressive

Le imposte si suddividono poi in proporzionali, progressive e regressive, a seconda che l'aliquota applicata sia costante, crescente o decrescente. 

Nel caso delle imposte proporzionali, quindi, essendo l'aliquota costante, l'importo dell'imposta aumenterà proporzionalmente all'aumentare della base imponibile. Così, per esempio, se l’aliquota è del 10%, chi guadagna 100, pagherà 10, chi guadagna 200, pagherà, 20, e così via.

Nel caso delle imposte progressive, essendo l'aliquota crescente, l'importo dell'imposta aumenterà più che proporzionalmente all'aumentare della base imponibile. Così, per esempio, se l’aliquota è del 10% per redditi fino a 100 e del 20% per redditi da 100 a 200, chi guadagna 100, pagherà 10, chi guadagna 200, pagherà 10 fino a 100 e 20 sugli altri 100, per un totale di 30.

Nel caso delle imposte regressive, essendo l'aliquota decrescente, l'importo dell'imposta aumenterà meno che proporzionalmente all'aumentare della base imponibile. Così, per esempio, se l’aliquota è del 10% per redditi fino a 100 e del 5% per redditi da 100 a 200, chi guadagna 100, pagherà 10, chi guadagna 200, pagherà 10 fino a 100 e 5 sugli altri 100, per un totale di 15.

In sintesi, negli esempi di cui sopra, chi guadagna 200, pagherà 20 con l’imposta proporzionale, 30 con l’imposta progressiva e 15 con l’imposta regressiva.

La progressività di cui sopra, attuata in Italia, è a scaglioni, nel senso che il reddito è diviso in parti a ciascuna delle quali si applica un’aliquota diversa.

* * *

Il sistema tributario o fiscale è l'insieme delle norme che disciplinano i tributi in un dato Stato.

Le principali norme costituzionali relative all'attività finanziaria della Pubblica Amministrazione sono contenute negli articoli 23, 53, 75, 81, 100, 117 e 119.

Degli articoli dal 53 in poi ne abbiamo parlato trattando del bilancio dello Stato. Ci occuperemo, quindi, dell’articolo 23, il quale stabilisce che “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”.

La norma ha lo scopo di garantire ai cittadini che le prestazioni loro richieste, come il pagamento dei tributi, siano introdotte in base ad una legge, ossia in base ad un atto emanato dai rappresentanti del popolo.

Il sistema tributario italiano comprende sia imposte dirette, come l’IRPEF, che indirette, come l’IVA.

L’I.R.P.E.F.: soggetti e base imponibile

L'Irpef è un'imposta diretta, personale e progressiva per scaglioni: diretta, in quanto ha per oggetto il reddito; personale, perché tiene conto della capacità contributiva del soggetto; progressiva per scaglioni, perché il reddito è diviso in fasce, dette scaglioni, a ciascuna delle quali si applica un'aliquota diversa, che aumenta al passaggio da uno scaglione a quello più alto successivo.

L’aliquota più alta applicabile alla base imponibile si dice aliquota marginale.

Negli specchietti che seguono, si ipotizzano diversi casi di calcolo dell’imposta lorda.

 

I soggetti passivi dell'IRPEF sono sia i residenti in Italia, per i redditi ovunque conseguiti, sia i residenti all’estero, per i redditi percepiti in Italia.

La base imponibile dell'IRPEF è data dal reddito complessivo annuo del soggetto, al netto dei cosiddetti oneri deducibili, cioè di alcune spese, come i contributi per la pensione o l'assegno di mantenimento pagato al coniuge (marito o moglie), nel caso di separazione o divorzio.

In base alla fonte da cui provengono, i redditi si distinguono in fondiari, di capitale, di lavoro dipendente, di impresa, di lavoro autonomo e diversi.

Il reddito complessivo annuo è dato dalla somma dei suindicati redditi,

I redditi non imponibili

Redditi non imponibili sono quelli su cui non si pagano imposte, come, per esempio, i compensi agli scrutatori dei seggi elettorali o gli assegni di mantenimento corrisposti da un coniuge all’altro per il mantenimento dei figli.

I redditi tassati separatamente

Redditi soggetti a tassazione separata sono, per esempio, il trattamento di fine rapporto o gli arretrati dello stipendio.

L’imposta da pagare sui redditi a tassazione separata è, di regola, quella ottenuta calcolando nell’ordine:

1)      la media dei redditi percepiti nei due anni precedenti al conseguimento del reddito da tassare separatamente;

2)      l’imposta da pagare su detta media;

3)      la percentuale dell’imposta stessa rispetto alla media dei redditi su cui è stata calcolata (da ottenersi moltiplicando l’imposta per cento e dividendo il prodotto per la media dei redditi). Tale percentuale costituirà l’aliquota applicabile al reddito soggetto a tassazione separata.

Così, per esempio, nel caso in cui nel 2022 si percepiscano arretrati per € 60.000, mentre nel 2021 il reddito sia stato di € 20.000 e, nel 2020, di € 12.000, l’imposta si determinerà:

-          calcolando la media dei redditi percepiti nei due anni precedenti al conseguimento del reddito da tassare separatamente, che è pari a € 16.000;

-          l’imposta da pagare su detta media, che è uguale a € 3.700;

-          la percentuale dell’imposta stessa rispetto alla media dei redditi su cui è stata calcolata (da ottenersi moltiplicando 3.700 per 100 e dividendo il prodotto per 16.000), che è pari a 23,125% Tale percentuale costituirà l’aliquota applicabile al reddito soggetto a tassazione separata, con la conseguenza che l’imposta da pagare sarà 13.875.

L’esempio che precede risulta dai due specchietti seguenti, nel secondo dei quali, inoltre, si mettono a confronto l’imposta da pagare a tassazione separata con quella che si sarebbe pagata con la tassazione ordinaria.

 

I redditi prodotti all’estero

I redditi prodotti all’estero da residenti in Italia sono imponibili, ma dall’imposta da pagare si detrae l’imposta pagata all’estero, sebbene entro un certo limite (calcolato moltiplicando il quoziente del rapporto tra il reddito estero e il reddito italiano per l’imposta lorda da pagare in Italia, come nell’esempio sottoriportato).

 

Reddito estero

Reddito italiano

Quoziente RE/RI

Imposta lorda

Credito massimo di imposta

Se imposta estera

Credito  di imposta

Se imposta estera

Credito  di imposta

12.000

60.000

0,20

18.700

3.740

4.000

3.740

3.000

3.000

 

I redditi fondiari

I redditi fondiari provengono dai terreni e dai fabbricati iscritti nel cosiddetto catasto, il quale è un ufficio che conserva e aggiorna l'inventario dei beni immobili presenti sul territorio dello Stato.

I redditi fondiari si suddividono in redditi dominicali, redditi agrari e redditi dei fabbricati.

Il reddito dominicale deriva dalla titolarità di un diritto reale su un terreno, come, per esempio, dall’esserne il proprietario.

Il reddito agrario deriva dall'esercizio di un'impresa agricola.

Il reddito dei fabbricati deriva dalla titolarità di un diritto reale su un fabbricato. 

La base imponibile dei redditi dominicale e agrario è detta rendita ed è determinata catastalmente.

La base imponibile del reddito dei fabbricati, invece, è diversa a seconda che il fabbricato sia o non sia abitato dal titolare.

Nel primo caso, la base imponibile è determinata catastalmente e il titolare non deve pagare l’I.R.P.E.F.

Nel secondo caso, occorre distinguere a seconda che la casa non sia abitata oppure sia stata data in locazione.

Se non è abitata, la base imponibile è il prodotto della rendita catastale rivalutata del 5%, ridotta del 50%, ed aumentata del 33,33%, come nell’esempio che segue:

 

Rendita catastale

Rivalutazione

Rendita rivalutata

Riduzione in %

Riduzione

Rendita ridotta

Aumento in %

Aumento

Rendita aumentata

100

5%

105

50%

52,5

52,5

33,33%

17,50

70,00

 

Se è locata, la base imponibile è costituita dalla maggior somma tra la rendita catastale rivalutata del 5% e il canone di locazione ridotto di una percentuale variabile a seconda del tipo di locazione.

I redditi da capitale sono costituiti dai proventi derivanti dall'impiego del capitale, come per esempio, gli interessi corrisposti dalla banca alle persone che vi hanno depositato il proprio denaro o dallo Stato a coloro che hanno sottoscritto titoli del debito pubblico, come i BOT (buoni ordinari del tesoro).

 

I redditi di capitale

I redditi da capitale sono soggetti di regola ad un’imposta sostitutiva di quella ordinaria, nel senso che non concorrono con gli altri redditi a determinare la base imponibile dell'I.R.P.E.F. In particolare, i redditi derivanti dai titoli del debito pubblico sono soggetti ad un’imposta sostitutiva del 12,5%, mentre per tutti gli altri redditi da capitale l'aliquota è del 26%.

 

I redditi di lavoro dipendente e di lavoro autonomo

I redditi da lavoro dipendente sono il reddito da lavoro subordinato e la pensione.

Il reddito da lavoro dipendente è soggetto a ritenuta alla fonte, nel senso che il datore di lavoro trattiene la somma che il lavoratore deve pagare a titolo di imposta e la versa allo Stato.

Se la somma trattenuta a titolo d’acconto è diversa da quella effettivamente dovuta a fine anno, si procederà a conguaglio, nel senso che se il datore di lavoro ha trattenuto più di quanto avrebbe dovuto, lo Stato restituirà la differenza al lavoratore e, viceversa, nel caso opposto.

Sono assimilati ai redditi di lavoro dipendente altri redditi, come i compensi pagati per la collaborazione a giornali, riviste, etc. oppure gli assegni di mantenimento ricevuti dal coniuge nel caso di separazione o divorzio.

I redditi da lavoro autonomo derivano dall’esercizio abituale di arti o professioni.

Rientrano tra questi redditi anche quelli derivanti da opere dell’ingegno, come le invenzioni, sempreché questi ultimi non siano conseguiti nell’esercizio di attività commerciali.

Il reddito da lavoro autonomo è soggetto a ritenuta d’acconto, nel senso che chi lo corrisponde, salvo che si tratti di un privato (cioè, di una persona fisica che non esercita, a sua volta, lavoro autonomo o un’attività imprenditoriale), trattiene una somma, nella misura del 20% del dovuto, in acconto sull’imposta che il lavoratore deve pagare, versandola allo Stato.

La base imponibile del reddito da lavoro autonomo è costituita dai compensi riscossi al netto delle spese pagate per l’esercizio dell’attività, secondo, quindi, il criterio di cassa, cioè del flusso di denaro in entrata e in uscita durante l’anno di imposta.

La determinazione delle entrate e delle uscite avviene in base alle scritture contabili che i lavoratori autonomi e gli artisti devono tenere e che variano a seconda del regime di contabilità adottato.

Per regime contabile si intende l’insieme delle norme giuridiche che disciplinano le scritture contabili da tenere, le modalità della loro tenuta e il procedimento di calcolo dell’imposta dovuta.

I regimi contabili sono l’ordinario, il semplificato e altri regimi cosiddetti agevolati.

Il regime ordinario è quello che richiede maggiori adempimenti; i regimi agevolati, quelli che ne chiedono di meno.

La scelta del regime è rimessa, entro certi limiti, al contribuente.

 

I redditi di impresa

I redditi di impresa sono quelli derivanti dall’esercizio delle attività commerciali, le quali, elencate nell’art. 2195 c.c., sono le seguenti:

-          attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi (esempio: fabbricare automobili);

-          attività intermediaria nella circolazione dei beni (esempio: acquistare auto per rivenderle);

-          attività di trasporto per terra, per acqua o per aria (esempio: trasportare persone da un luogo ad un altro);

-          attività bancaria (esempio: prestare denaro per ricevere in cambio, dopo un certo tempo, il denaro prestato, detto capitale, più altro denaro, detto interesse);

-          attività assicurativa (esempio: pagare il danno subito da una persona in cambio del pagamento di una certa somma, detta premio, prima che si verifichi il danno);

-          altre attività ausiliarie delle precedenti (esempio: mettere in relazione un imprenditore con i clienti, attività, questa, tipica del cosiddetto agente di commercio).

 

I redditi diversi

I redditi diversi sono quelli che non derivano dalle altre attività suindicate, come le plusvalenze immobiliari, derivanti dalla vendita di un immobile dopo meno di 5 anni dal suo acquisto, le plusvalenze finanziarie, discendenti, per esempio, dalla vendita di azioni a un prezzo superiore a quello di acquisto, o altri redditi, come quelli occasionali.

Le plusvalenze finanziarie sono tassate con un’imposta sostitutiva del 26%.

 

L’IRES

L'IRES (imposta sul reddito delle società) è un'imposta diretta personale proporzionale che colpisce, invero, nella misura del 24%, non solo le società, ma tutti i soggetti diversi dalle persone fisiche e  dalle società di persone, come, per esempio, le persone giuridiche e le associazioni non riconosciute.

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