CLASSE QUINTA B – DIRITTO – SECONDO
QUADRIMESTRE
Indice
Lo Stato e i suoi elementi costitutivi
Dallo statuto albertino alla costituzione
Definizione e caratteri della Costituzione repubblicana
Struttura della Costituzione repubblicana
Le due parti della Costituzione
Disposizioni transitorie e finali
L’ordinamento
internazionale: caratteristiche generali
Istituzioni
Unione Europea: elenco e durata
Definizione e
principi dell'attività amministrativa
L’organizzazione
della Pubblica Amministrazione
LO STATO
Lo Stato e i suoi elementi costitutivi
Lo Stato è un’organizzazione costituita da tre elementi: popolo,
territorio e sovranità.
Il popolo è formato da persone, dette cittadini, le quali hanno sia diritti
che obblighi nei confronti dello Stato.
Tra i diritti vi è quello di
voto, mentre fra gli obblighi c’è quello di pagare le tasse.
Il concetto di popolo si
differenzia da quelli di popolazione e di nazione.
La popolazione è l’insieme
delle persone che si trovano sul territorio di uno Stato.
Queste persone possono essere
cittadini, stranieri o apolidi.
Sono stranieri coloro che
appartengono ad uno Stato estero.
Sono apolidi coloro che non
hanno la cittadinanza di alcuno Stato (è apolide, per esempio, colui che abbia
perso la cittadinanza italiana senza acquistare la cittadinanza di uno Stato
straniero. Un caso in cui un cittadino italiano può perdere la cittadinanza si
ha quando questi, avendo accettato un impiego pubblico da uno Stato estero, non
obbedisca all’ordine del Governo italiano di lasciare tale impiego. In tale
ipotesi, qualora la persona che abbia perso la cittadinanza italiana non
acquisti la cittadinanza dello stato estero da cui dipende, diverrà apolide).
La nazione è l’insieme delle
persone legate tra loro da un vincolo etnico, ossia di sangue, di lingua, di
religione e di costumi.
Per esempio, la nazione
italiana è costituita da persone che, prevalentemente, sono nate da italiani,
parlano la lingua italiana, sono di religione cattolica, festeggiano le stesse
ricorrenze (Natale, Pasqua, carnevale, etc.) e vestono tendenzialmente allo
stesso modo (per esempio, gl’italiani non portano il turbante).
Le persone che appartengono
alla stessa nazione possono far parte o meno di un medesimo Stato.
Se i cittadini di uno Stato
appartengono prevalentemente ad un’unica nazione, si parla di Stati
uninazionali, come l’Italia.
Se, invece, appartengono a
diverse nazioni, si parla di stati plurinazionali, come la Svizzera, nella
quale convivono persone di nazionalità francese, tedesca, italiana e ladina.
Il territorio è il luogo in cui lo Stato esercita il proprio potere.
Esso è formato dal suolo, dal
sottosuolo, dallo spazio aereo sovrastante il suolo, dal mare territoriale e
dal territorio flottante.
Il mare territoriale è la
fascia di mare che, dalla costa, misura 12 miglia marine, cioè circa 22 km.
L’area di mare successiva al
mare territoriale è detta extraterritoriale.
Occorre, però, dire che lo
Stato può sfruttare le risorse naturali, dalla costa fino a 200 miglia marine
(322 km circa), presenti nel mare (cosiddetta “zona economica esclusiva”) o
sotto il mare (cosiddetta “piattaforma continentale”), come stabilito dalla
Convenzione di Montego Bay del 10.12.1982.
Il territorio flottante è
composto da navi ed aerei.
Riguardo a quest’ultimo,
occorre precisare che navi ed aerei militari sono soggetti alle norme dello
Stato al quale appartengono ovunque si trovino, mentre navi ed aerei civili vi
sono soggetti solo se si trovino:
- quanto alle navi, nel mare
territoriale dello Stato di appartenenza o nel mare extraterritoriale;
- quanto agli aerei, nello
spazio sopra il suolo o il mare territoriale dello Stato al quale appartengono
ovvero sopra il mare extraterritoriale.
La sovranità è il potere dello Stato.
Essa è sia interna che
esterna.
La sovranità interna è il
potere esercitato sul popolo.
La sovranità esterna consiste
nell'indipendenza di uno Stato dagli altri e nella partecipazione dello Stato
alla formazione del diritto internazionale, cioè delle norme che regolano i
rapporti fra gli Stati. La sovranità esterna presuppone, quindi, il riconoscimento
di uno Stato da parte degli altri Stati.
La sovranità
interna si realizza mediante
tre funzioni (dette anche “i tre poteri”), dello Stato: legislativa,
amministrativa (o esecutiva) e giurisdizionale (o giudiziaria).
La funzione legislativa consiste nell’emanazione delle leggi contenenti
le norme giuridiche,
le quali sono regole obbligatorie e generali (che valgono, cioè, per tutti).
La funzione esecutiva consiste nell’applicare le norme giuridiche.
La funzione giurisdizionale consiste nell’accertare, attraverso i
processi, quale siano le norme giuridiche da applicare nei casi concreti,
risolvendo le liti e punendo i reati.
Per esempio: il Parlamento
emana la legge che regola l'esame di maturità; il Governo dispone la nomina
delle commissioni di esame; la Magistratura decide se annullare o meno la
bocciatura di un alunno che contesti la regolarità del suo esame.
Al fine di evitare la
concentrazione del potere nelle mani di una o di poche persone, nella maggior
parte dei Paesi del mondo si attua la cosiddetta divisione dei poteri, nel
senso che le tre funzioni dello Stato sono esercitate da organi diversi. In particolare,
in Italia, la funzione legislativa è svolta dal Parlamento mediante
l’emanazione di leggi, la funzione esecutiva è esercitata dal Governo tramite i
decreti, e la funzione giurisdizionale è esplicata dalla Magistratura (cioè,
dai Giudici) attraverso le sentenze.
Occorre aggiungere che la
separazione dei poteri non è netta, nel senso che talora l’organo titolare di
una funzione ha il potere di compiere atti che rientrano in una funzione
diversa, come nel caso del Governo, il quale, in alcuni casi, ha il potere di
emanare atti equivalenti alle leggi.
Forme
di Stato.
La forma di uno Stato è data dal rapporto che c’è tra due elementi dello
Stato: sovranità e territorio.
Le principali forme dello Stato sono tre: unitario, federale e regionale.
Lo Stato unitario, come la Francia, è quello in cui la sovranità sul
territorio è esercitata da un solo governo.
Lo Stato federale, come gli Stati Uniti d’America, è composto da diversi
Stati, detti federati,
sul territorio dei quali viene esercitata una doppia sovranità: quella propria
di ciascuno Stato federato e quella dello Stato federale. Quest'ultima è
diretta a realizzare i fini comuni a tutti gli Stati federati, come la difesa
militare dagli Stati stranieri.
Lo Stato regionale, come l'Italia, è una forma di Stato unitario,
suddiviso, però, in Regioni,
che godono di una notevole indipendenza rispetto al Governo dello Stato: esse,
infatti, possono emanare leggi che, in alcune materie, prevalgono su quelle
statali.
La differenza tra Stato
federale e regionale sta nel fatto che nello Stato federale, il potere dei
singoli Stati federati è maggiore rispetto a quello che, nello Stato regionale,
hanno le Regioni.
Forme
di Governo
La forma di Governo è determinata dal rapporto che c'è tra i poteri dello
Stato.
Una prima distinzione tra forme di Governo è quella fra Monarchia e
Repubblica.
Nella monarchia, Capo dello Stato è il Re o la Regina, che:
-
acquista
il potere, di regola, per via ereditaria, cioè per il fatto di essere figlio,
figlia o, comunque, parente di un altro Re o di un’altra Regina;
-
rimane
in carica, cioè mantiene il suo potere, di solito, per tutta la vita.
Nella Repubblica, invece, Capo dello Stato è il Presidente (uomo o donna), che:
-
acquista
il potere, di regola, per elezione, ossia per il fatto di essere scelto dal
popolo;
-
rimane
in carica, cioè mantiene il suo potere, fino alla scadenza del cosiddetto
mandato, cioè dell’incarico che, con l’elezione, il popolo gli ha dato.
L’Italia è una Repubblica; il mandato del
Presidente della Repubblica dura 7 anni.
Una seconda distinzione tra forme di Governo è quella fra Governo
parlamentare, Governo presidenziale, Governo semipresidenziale e Governo direttoriale.
Nella prima, presente in Italia, il potere esecutivo è esercitato da un
Governo formato da un Presidente del Consiglio e dai ministri nominati dal Capo
dello Stato, ma con l’approvazione del Parlamento (la cosiddetta “fiducia
parlamentare”); il Governo è revocabile solo dal Parlamento (la cosiddetta
“sfiducia parlamentare”).
Nella seconda, vigente negli USA, il potere esecutivo è esercitato da un
Governo formato dal Presidente della Repubblica (che è sia Capo dello Stato che
del Governo) nonché dai ministri nominati e revocabili dal Presidente stesso,
il quale è eletto direttamente dal popolo.
Nella terza, applicata in
Francia, il potere esecutivo è esercitato da un Governo formato da un Primo
Ministro e da ministri nominati dal Presidente della Repubblica, ma revocabili
sia da lui che dal Parlamento. Il Presidente della Repubblica è eletto direttamente
dal popolo.
Nella quarta, applicata in
Svizzera, il potere esecutivo è esercitato da un Governo, detto Collegio
federale, composto da 7 membri, presieduto a turno, ma sostanzialmente senza
poteri, da uno di loro; il Collegio, nominato dal Parlamento (composto da due
camere, il Consiglio nazionale e il Consiglio degli Stati), il quale, però, non
può sfiduciare, cioè revocare, il Collegio.
Tabelle riassuntive
Forme di Stato
Forma di Stato (rapporto che c’è tra due elementi dello Stato:
sovranità e territorio) |
Stato unitario |
Stato federale |
Stato regionale |
Esempio |
Francia |
Stati Uniti d’America |
Italia |
Soggetti che esercitano il potere |
Un solo governo |
Tanti governi quanti sono gli Stati, detti federati, oltre al governo
centrale dello Stato federale |
Un solo governo centrale, ma tante Regioni, ciascuna con un proprio
potere, anche se minore di quello degli Stati federati |
Forme di Governo (I)
Forme di Governo |
Monarchia |
Repubblica |
Chi è il Capo dello Stato |
Re/Regina |
Presidente (uomo/donna) |
Come acquista il suo potere |
Per eredità |
Per elezione |
Per quanto tempo rimarrà in carica |
Per tutta la vita |
Fino alla scadenza del mandato, cioè dell’incarico (in Italia, 7 anni) |
Forme di Governo (II)
Forme di Governo |
Governo parlamentare |
Governo presidenziale |
Esempio |
Italia |
Stati Uniti d’America |
Chi nomina il Governo |
Presidente della Repubblica con l’approvazione (fiducia) del Parlamento |
Presidente della Repubblica |
Da chi è composto il Governo |
Presidente del Consiglio e ministri |
Presidente della Repubblica e ministri |
Chi può revocare il Governo (cioè togliergli l’incarico di governare) |
Parlamento |
Presidente della Repubblica |
Forme di Governo |
Governo semipresidenziale |
Governo direttoriale |
Esempio |
Francia |
Svizzera |
Chi nomina il Governo |
Presidente della Repubblica |
Parlamento |
Da chi è composto il
Governo |
Primo ministro (non
coincidente con il Presidente della Repubblica) e ministri |
7 Ministri presieduti a
turno simbolicamente da uno di loro |
Chi può revocare il Governo
(cioè togliergli l’incarico di governare) |
Presidente della
Repubblica e Parlamento |
Nessuno |
Fini dello Stato
Lo Stato è una persona giuridica, ossia un soggetto di diritto distinto
dalle persone che ne fanno parte, il quale è sorto per realizzare fini comuni a
coloro che vi appartengono.
I fini essenziali dello Stato sono quelli di garantire:
- la sicurezza esterna (cioè, la difesa dagli altri Stati);
- la sicurezza interna (ossia dentro il proprio territorio);
- il progresso del proprio popolo.
L’attività svolta dallo Stato
per garantire la sicurezza è detta giuridica, mentre quella diretta ad
assicurare il progresso è detta sociale, tanto che si definisce Stato sociale,
o Welfare State, quello Stato, come l'Italia, in cui tale attività è particolarmente
rilevante.
La Costituzione
Dallo
statuto albertino alla costituzione
Nel 1848,
il 4 marzo, il re Carlo
Alberto, a causa delle rivolte popolari di quel periodo, concesse lo “Statuto Albertino”,
con cui l’Italia divenne uno Stato liberale.
Il 28 ottobre 1922, il
re Vittorio Emanuele III nominò, come Presidente del Consiglio, Benito
Mussolini, capo del partito fascista, il quale instaurò la dittatura,
caratterizzata dall’aumento dei poteri del Governo e dalla limitazione dei
diritti dei cittadini.
Nel 1939 scoppiò la seconda
guerra mondiale, alla quale l’Italia prese parte nel 1940.
La guerra comportò morti e
povertà per la popolazione italiana, così rafforzando l’opposizione al
fascismo, tanto che, nel 1943, il Re nominò il maresciallo Badoglio come
capo del Governo in sostituzione di Mussolini. Il Governo Badoglio ordinò l’arresto
di Mussolini e sciolse il partito fascista.
Nel 1945 finì la seconda
guerra mondiale.
Nel 1946,
il 2 giugno, gl'italiani,
comprese, per la prima volta, le donne, votarono per scegliere tra Monarchia e Repubblica e per
eleggere l'Assemblea Costituente, composta da 556 deputati, il
cui compito era quello di approvare una nuova Costituzione.
Gl'italiani scelsero la Repubblica e l'Assemblea Costituente approvò la
nuova Costituzione
il 22.12.1947, che è entrata
in vigore, cioè è diventata obbligatoria, l’1 gennaio 1948.
Definizione
e caratteri della Costituzione repubblicana
La
Costituzione italiana è la legge fondamentale dello Stato italiano per due
ragioni:
-
le altre leggi emanate sul territorio statale non possono, di regola,
contrastare con essa,
-
essa prevede e disciplina, sia pure in parte, le principali istituzioni
dello Stato ed i diritti fondamentali dei cittadini.
Il carattere principale della Costituzione
italiana è la rigidità, nel senso che essa, a differenza dello Statuto
Albertino - non rigido, ma flessibile - può essere modificata solo con legge
costituzionale, la quale, per essere approvata, richiede un procedimento più
complesso (detto aggravato), rispetto al procedimento
(definito ordinario) necessario
per approvare le altre leggi dello Stato.
La
Costituzione italiana presenta poi altri caratteri:
-
è
votata, nel senso che è stata approvata dall’Assemblea Costituente, costituita
dai rappresentanti del popolo italiano. Lo Statuto Albertino, invece, era stato
concesso dal Re;
-
è
lunga, nel senso che, a differenza dello Statuto, disciplina più
dettagliatamente i diritti dei cittadini ed inoltre regola non solo i diritti
civili e politici, ma anche quelli sociali ed economici;
-
è
scritta, a differenza di altre Costituzioni, come, per esempio, quella inglese,
quantomeno nel senso che in Gran Bretagna non vi è un testo unico definito
Costituzione, essendovi, comunque, principi di natura costituzionale risultanti
da vari documenti scritti e dalla consuetudine.
La Costituzione italiana prevede un organo
- la Corte Costituzionale - il cui compito principale è quello di accertare, su
richiesta di un giudice, se le leggi ordinarie contrastano con la Costituzione
e, in tal caso, di dichiararle incostituzionali e, quindi, inapplicabili.
Struttura
della Costituzione repubblicana
La Costituzione è composta da 139 articoli
e da 18 disposizioni transitorie e finali.
I 139 articoli sono ripartiti fra principi
fondamentali (artt. 1-12), parte prima (artt. 13-54) e seconda (artt. 55-139).
Principi fondamentali
I principi contenuti negli articoli
costituzionali “1-12” sono i fondamenti del diritto italiano.
Essi
possono essere così definiti:
-
il principio democratico, per il quale il popolo esercita la sovranità (art.
1);
-
il principio lavorista, per il quale il lavoro è il fondamento della
Repubblica, la quale, quindi, deve promuovere l'occupazione (artt. 1 e 4);
-
il principio liberale o personalista, per il quale la Repubblica tutela la
persona umana (art. 2);
-
il principio di uguaglianza, per il quale tutti sono uguali davanti alla legge
(art. 3);
-
il principio pluralista, per il quale la Repubblica promuove le formazioni
intermedie (formazioni sociali di cui all’art. 2, come la famiglia, ed
autonomie di cui all’art. 5, come i Comuni);
-
il principio solidarista, per il quale si deve essere solidali l’uno con
l’altro (art. 2);
-
il principio pacifista, per cui l’Italia rifiuta, di regola, la guerra (art.
11).
Tra i principi fondamentali, ci occupiamo,
qui, in particolare, di quelli previsti negli articoli 1, 2 e 3.
Art. 1 (in sintesi).
1. L'Italia è una Repubblica democratica,
fondata sul lavoro.
2. La sovranità appartiene al popolo.
Commento
L’art.
1 sancisce il principio democratico, per il quale è il popolo che ha il potere
di governare.
La
democrazia è, in Italia, sia diretta che indiretta.
È
diretta quando il popolo esercita personalmente il potere, come nel caso del
referendum con il quale i cittadini abrogano una legge.
È
indiretta quando il popolo esercita il potere tramite i propri rappresentanti,
come nel caso in cui elegge i parlamentari che, poi, emaneranno le leggi.
Coloro
che desiderano diventare parlamentari devono candidarsi (cioè presentarsi per
essere eletti) tramite un partito politico, il quale è un’associazione di
individui aventi una visione di parte dei fini che lo Stato deve realizzare.
Art. 2 (in sintesi)
La Repubblica riconosce e garantisce i
diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle
formazioni sociali in cui vive e richiede l'adempimento dei doveri di solidarietà.
Commento
I
diritti inviolabili sono quelli previsti dalla Costituzione, come, per esempio,
i diritti di libertà.
Essi,
in quanto inviolabili, non possono essere eliminati dallo Stato, né ceduti dai
loro titolari (cioè, da coloro che hanno il diritto); così, per esempio, un
uomo non può cedere la propria libertà a favore di un altro uomo divenendone
schiavo.
Le
formazioni sociali di cui parla l’art. 2 sono tutte le aggregazioni alle quali
le persone possono partecipare, come la famiglia, la scuola, i partiti
politici, eccetera.
I
doveri inderogabili di solidarietà sono quelli previsti nella Costituzione,
come il dovere di contribuire alle spese pubbliche (e, quindi, di pagare le
tasse).
Art. 3 (in sintesi)
1. Tutti i cittadini sono eguali davanti
alla legge.
2. È compito della Repubblica eliminare gli
ostacoli economici e sociali che limitano di fatto la libertà e
l'uguaglianza dei cittadini e, quindi, impediscono lo sviluppo personale
e la partecipazione dei lavoratori all'organizzazione del Paese.
Commento
Il primo comma dell’art. 3 prevede il
principio di uguaglianza formale (o di diritto), per il quale
chi fa le leggi non può trattare in modo diverso situazioni eguali. Per
esempio, non potrebbe stabilire che solo gli studenti maschi hanno diritto ad
una borsa di studio.
Il secondo comma dell’art. 3 stabilisce,
invece, il principio di uguaglianza sostanziale (o di fatto), per il quale il
legislatore deve intervenire affinché tutti abbiano la possibilità di
esercitare effettivamente i loro diritti. Per esempio, il legislatore deve
provvedere affinché gli studenti che abitino in aree isolate possano
frequentare la scuola, magari prevedendo un servizio di bus pagato dallo Stato.
Sebbene
l’art. 3 preveda espressamente che solo i cittadini sono uguali davanti alla
legge, esso si riferisce, in realtà, a tutti gli uomini, come si capisce dal
collegamento tra gli articoli 2 e 3:
-
l’art. 2 riconosce i diritti inviolabili all’uomo;
-
i diritti inviolabili sono tutti quelli previsti dalla Costituzione, compreso,
quindi, il diritto all'uguaglianza;
-
tale diritto, è, pertanto, inviolabile e, come tale, in base all’art. 2, è
riconosciuto a tutti gli uomini e non solo ai cittadini.
Le due parti della Costituzione
Relativamente alle due parti della
Costituzione successive ai principi fondamentali, occorre dire che
esse sono suddivise in gruppi omogenei di norme, detti titoli.
La parte prima, in particolare, relativa ai
diritti e doveri dei cittadini, è ripartita in quattro
titoli: rapporti civili (artt. 13-28); rapporti etico-sociali (artt. 29-34);
rapporti economici (artt. 35-47); rapporti politici (artt. 48-54).
I
principali diritti previsti nei suindicati rapporti sono i seguenti:
-
nei rapporti civili: i diritti di libertà, come, ad esempio, la libertà
personale (nel senso che non si può essere privati della propria libertà se
non, di regola, per ordine di un giudice), le libertà di riunione, di
associazione e di manifestazione del pensiero;
-
nei rapporti etico-sociali, il diritto-dovere di mantenere i figli; i diritti
alla salute e all'istruzione;
-
nei rapporti economici, il diritto ad una retribuzione proporzionata al lavoro
svolto; il diritto alla pensione; il diritto di scioperare; la libertà di
iniziativa economica; il diritto di proprietà;
-
nei rapporti politici, i diritti di voto, di associarsi in partiti politici, di
partecipare ai pubblici concorsi; i doveri di difendere la patria, di pagare i
tributi e di osservare la Costituzione e le leggi.
La parte seconda, riguardante l'ordinamento
della Repubblica, è ripartita in sei titoli:
il Parlamento (artt. 55-82); il Presidente della Repubblica (artt. 83-91); il
Governo (artt. 92-100); la Magistratura (artt. 101-113); le Regioni, le
Province, i Comuni (artt. 114-133); le garanzie costituzionali (artt. 134-139).
Disposizioni transitorie e finali
Le
disposizioni transitorie sono norme che disciplinano il passaggio dalle norme
precedenti all’emanazione della Costituzione al complesso di norme contenute
nella Costituzione.
Un
esempio di disposizione transitoria è la II, secondo cui “Se alla data della
elezione del Presidente della Repubblica non sono costituiti tutti i Consigli
regionali, partecipano alla elezione soltanto i componenti delle due Camere”.
Tale
norma è transitoria in quanto regola il passaggio dal tempo in cui non tutte le
Regioni erano state create al tempo – 1970 – in cui esse sono state tutte
istituite.
Detta
norma è stata, quindi, prevista per consentire l'elezione del Presidente della
Repubblica nonostante la mancata istituzione delle Regioni ed in attesa della
loro creazione.
Lo Stato e gli Stati
L’ordinamento
internazionale: caratteristiche
generali
Nozione
Il diritto internazionale
disciplina i rapporti tra i soggetti della comunità internazionale (cioè Stati
e organizzazioni internazionali).
Esso si differenzia dal diritto
interno di ciascuno Stato, in quanto non ha carattere gerarchico, ma paritario.
Ciò significa che mentre il
diritto interno prevede un ente - lo Stato - superiore ai cittadini e dotato
del potere di imporre loro, anche con la forza, delle regole, il diritto
internazionale non prevede un ente sovraordinato alle cui regole gli altri Stati
sono automaticamente sottoposti.
E’, però, evidente che lo Stato
trasgressore si espone a ritorsioni da parte degli altri Stati o a sanzioni da
parte delle organizzazioni internazionali alle quali abbia eventualmente
aderito.
Le fonti del diritto
internazionale sono le consuetudini, i trattati e gli atti previsti dai
trattati.
La consuetudine è l’uso seguito
dagli Stati, come, per esempio, l’uso delle armi solo per difesa.
La consuetudine ha carattere
generale e, quindi, si applica a tutti gli Stati, anche a quelli sorti dopo che
l’uso è iniziato.
I trattati sono accordi tra Stati
e, ovviamente, vincolano solo gli Stati che li firmano.
Gli atti basati sui trattati sono
atti emanati se un Trattato li prevede, come, per esempio, le decisioni delle
organizzazioni internazionali, come l’ONU.
ONU
L’Organizzazione delle Nazioni
unite (ONU), di cui l’Italia fa parte, fu istituita nel 1945, con l’obiettivo
principale di tutelare la pace nel mondo.
Nel caso di conflitti tra Stati,
l’ONU può inviare dei caschi blu, ossia soldati che hanno il compito di tentare
di riportare la pace.
NATO
La NATO (North Atlantic Treaty
Organization), istituita nel 1949 con il Patto atlantico, è un’organizzazione
politico-militare costituita allo scopo di proteggere i Paesi membri, tra cui
l’Italia, dal rischio di attacchi militari e terroristici.
Il Patto Atlantico si fondava
sulla convinzione che il mondo civilizzato si dividesse in due blocchi:
occidentale, costituito in primo luogo dagli USA, e orientale, formato
soprattutto dai Paesi dell’Est europeo, sotto l’egida dell’URSS (oggi Russia).
I Paesi non appartenenti all’uno
o all’altro blocco, come i Paesi africani venivano etichettati come Terzo
mondo, espressione oggi sostituita con Paesi in via di sviluppo.
L'Unione
Europea
Evoluzione storica
La Seconda Guerra Mondiale fece
maturare in alcuni Stati europei l'idea che fosse necessario integrarsi
reciprocamente (creare, cioè, uno stabile legame tra loro) sia per ragioni
economiche che politiche.
Sotto il profilo economico, si
pensava che solo un mercato di dimensioni europee potesse rapportarsi su un
piano di parità con le altre economie mondiali, come il mercato statunitense.
Dal punto di vista politico, si
riteneva che uno stabile legame tra gli Stati europei, con la conseguente
creazione di un organismo sovranazionale, avrebbe permesso non solo di superare
i contrasti tra gli stessi, che avevano già portato a ben due guerre mondiali,
ma anche di meglio cooperare alla pace nel mondo.
Il processo di realizzazione
dell'unione tra gli Stati europei si è articolato in varie tappe.
Nel 1951 venne stipulato il
Trattato istitutivo della CECA (Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio).
Nel 1957, con i Trattati di Roma,
furono costituiti l'EURATOM (Comunità Europea dell'Energia Atomica) e la CEE
(Comunità Economica Europea).
Questi primi Trattati, stipulati
da soli sei Stati (Italia, Francia, Germania, Belgio, Olanda, Lussemburgo),
stabilivano regole comuni limitatamente al campo economico e dell'energia
atomica.
Nel 1987 entrò in vigore l'Atto
Unico Europeo col quale fu realizzato il MEC (mercato unico europeo),
caratterizzato dalla libera circolazione dei lavoratori, del denaro e delle
merci.
Nel 1992, a Maastricht, in
Olanda, fu stipulato il Trattato sull'Unione Europea, con il quale l'organismo
“Comunità Economica Europea” venne denominato “Unione Europea”, per significare
che il rapporto tra gli Stati europei non sarebbe più stato solo economico, ma
anche politico. Il Trattato di Maastricht prevedeva, infatti, che gli Stati
europei aderenti al Trattato avrebbero via via dovuto adottare la stessa
moneta, avere una politica estera e di sicurezza comune e cooperare nel settore
della giustizia; il Trattato introduceva pure la cittadinanza europea grazie
alla quale i cittadini degli Stati europei avrebbero avuto diritti ulteriori
rispetto a quelli riconosciuti dagli Stati di appartenenza.
Nel 1997 venne stipulato il
Trattato di Amsterdam, entrato in vigore nel 1999, il quale ampliò le
competenze comunitarie, i poteri del Parlamento Europeo ed i diritti dei
cittadini europei, prevedendo interventi comuni a favore dell'occupazione.
Nel 2000 furono sottoscritti sia
il Trattato di Nizza, entrato in vigore nel 2003, il quale, per facilitare le
decisioni comunitarie, ridusse i casi in cui le stesse dovevano essere prese
all'unanimità, sia la Carta di Nizza, la quale riconobbe a tutti gli uomini,
europei e non, numerosi diritti riconducibili alle seguenti categorie: dignità
della persona, libertà, uguaglianza, solidarietà, cittadinanza e giustizia.
Nel 2004 fu redatta la
Costituzione europea, la quale, però, non è mai entrata in vigore, non essendo
stata ratificata da tutti gli Stati aderenti all'Unione.
Nel 2007 venne sottoscritto il
Trattato di Lisbona, entrato in vigore nel 2009, con il quale, tra l'altro,
venne introdotta la possibilità di recedere dall'Unione.
Da quanto sopra appare evidente
che nel corso del tempo, la CEE si sia evoluta: ha cambiato nome in Unione
Europea, si è prefissata nuovi obiettivi, ha previsto diversi organi per
realizzarli ed è aumentato il numero di Stati aderenti, i quali, dall'1.7.13,
sono diventati 28, 19 dei quali hanno adottato l'Euro come moneta comune in
sostituzione della loro vecchia moneta, come la Lira in Italia.
Istituzioni Unione Europea: elenco e durata
Gli organi dell'UE sono:
il Consiglio Europeo, formato dai
Capi di Stato o di Governo degli Stati dell'UE;
la Commissione Europea, formata
da 28 rappresentanti degli Stati comunitari, scelti dal Parlamento Europeo;
il Consiglio dell'Unione, formato
dai Ministri degli Stati dell'UE;
il Parlamento Europeo, unico
organo eletto dai cittadini europei;
l'Alto Rappresentante dell'Unione
per gli affari esteri e la politica di sicurezza, nominato dal Consiglio
Europeo;
la Corte di Giustizia, formata da
28 giudici eletti dai Governi degli Stati membri.
I membri della Commissione, del
Parlamento e l'Alto Rappresentante sono eletti per 5 anni, mentre i membri
della Corte per 6 anni.
Atti dell'Unione Europea
Relativamente alle regole emanate
dall'UE, occorre chiarire che il Consiglio Europeo fissa gli obiettivi da
perseguire, la Commissione propone le regole per attuarli al Consiglio
dell'Unione e al Parlamento che decidono se approvarle; successivamente, la
Commissione esegue le regole approvate e, nel caso in cui qualcuno dica che
sono state violate, la Corte di Giustizia accerta l'eventuale violazione.
I principali atti contenenti le
regole dell'UE sono i regolamenti (applicabili direttamente agli Stati membri e
ai loro cittadini), e le direttive (applicabili solo agli Stati, i quali devono
emanare leggi che contenenti le regole previste nelle direttive stesse). Altri
atti comunitari sono le decisioni (applicabili a singoli Stati), le
raccomandazioni (consigli provenienti dall'UE agli interessati) e i pareri
(consigli richiesti all'UE).
Più in particolare, gli atti
contenenti le regole dell’UE, ossia le fonti del diritto comunitario, si
distinguono in due categorie: fonti di diritto convenzionale e fonti di diritto
derivato.
Le fonti di diritto convenzionale
sono costituite dai trattati che hanno istituito l’UE (trattati istitutivi) o
che hanno modificato quelli istitutivi.
Le fonti di diritto derivato sono
rappresentate dagli atti che possono essere emanati nei casi stabiliti con i
trattati.
Le fonti di diritto derivato
sono, quindi, subordinate rispetto alle fonti di diritto convenzionale e,
pertanto, non possono essere in contrasto con esse.
Le fonti di diritto derivato si
distinguono in obbligatorie e non obbligatorie.
Queste ultime sono date dalle
raccomandazioni, cioè, consigli agli Stati, e dai pareri, ossia punti di vista
espressi in merito a determinate questioni. Invero, vi sono altri atti non
vincolanti, come, per esempio, i libri verdi e i libri bianchi: i primi
contengono le linee di massima in merito ad un dato tema su cui la Commissione
si consulta con altri organi europei; i secondi contengono le proposte, basate
solitamente sull’esito delle consultazioni in merito ai libri verdi, su cui la
Commissione intende ancora consultarsi con altri organi europei.
Le fonti di diritto derivato
obbligatorie sono costituite dai regolamenti, dalle direttive e dalle
decisioni.
I regolamenti sono obbligatori
per tutti, sia Stati che cittadini.
Le direttive sono obbligatorie
per tutti gli Stati, ma non per i cittadini: gli Stati, infatti, devono emanare
le leggi che rendano obbligatorie le direttive nel loro territorio.
Le decisioni sono obbligatorie
solo per i singoli soggetti cui si riferiscono.
Occorre osservare che, in
pratica, ci sono casi in cui:
- i regolamenti non sono
immediatamente applicabili e, quindi, di fatto, non sono, almeno
temporaneamente, obbligatori;
- le direttive riguardano non
solo gli Stati, ma anche i cittadini.
I regolamenti non sono
immediatamente applicabili qualora la loro applicazione sia subordinata
all’emanazione di norme comunitarie ulteriori; in tal caso, infatti, essi
saranno applicabili solo dopo l’emanazione di tali norme.
Le direttive riguardano tutti,
Stati e cittadini, allorquando ricorrano le seguenti tre condizioni:
1) esse disciplinano tutti gli
elementi di una data situazione, nel senso che lo Stato deve solo emanare norme
che riproducono le norme delle direttive; ove, invece, lo Stato debba non solo
riprodurre le norme delle direttive, ma anche disciplinare uno o più elementi
delle situazioni regolate, allora le direttive non potranno essere obbligatorie
per i cittadini (esempio: se una direttiva dice che ogni Paese dell’UE in cui
si è stati assicurati per almeno un anno è tenuto a pagare una pensione di
vecchiaia una volta raggiunti i 65 anni, è evidente che la direttiva ha
disciplinato completamente la situazione dei sessantacinquenni e lo Stato si
deve solo limitare a riportare il contenuto della direttiva in una legge; se,
invece, una direttiva dice che ogni Paese dell’UE in cui si è stati assicurati
per almeno un anno è tenuto a pagare una pensione a 60 anni se nel Paese in cui
si richiede la pensione si è svolto, per almeno un anno, un lavoro usurante, è
evidente che la direttiva non ha disciplinato completamente la situazione dei
lavoratori che devono andare in pensione a 60 anni, in quanto lo Stato deve
prima stabilire quali sono le persone che svolgono un lavoro usurante);
2) dalla direttiva deriva un
diritto del cittadino nei confronti dello Stato (cosiddetto effetto diretto
verticale) e non, quindi, nei confronti di un altro cittadino (cosiddetto
effetto diretto orizzontale);
3) il termine per emanare la
legge di attuazione della direttiva è scaduto.
Nel caso in cui le direttive
hanno come destinatari sia gli Stati che i cittadini, si dice che essi hanno
effetto diretto.
Anche i trattati possono produrre
effetti diretti, ossia essere applicabili direttamente nei confronti dei
cittadini.
Le condizioni sono le stesse
previste per le direttive, ma, nel caso dei trattati, essi possono produrre
anche effetti diretti orizzontali, cioè essere applicabili su richiesta di un
cittadino nei confronti di un altro cittadino.
Qualora non ricorrano le suddette
condizioni, le Direttive non possono produrre effetti diretti, ma possono
comunque, sussistendo altri presupposti, un effetto utile, cioè il diritto al
risarcimento del danno subito a causa della mancata o tardiva emanazione della
legge che deve riprodurre il contenuto della direttiva oppure a causa
dell’emanazione di una legge che riproduca solo parzialmente il contenuto
stesso.
I presupposti che devono
sussistere affinché le direttive producano l’effetto utile sono tre:
1) dalla direttiva deriva un
diritto del cittadino nei confronti dello Stato (cosiddetto effetto diretto
verticale) e non, quindi, nei confronti di un altro cittadino (cosiddetto
effetto diretto orizzontale);
2) il contenuto del diritto può
essere determinato in base alla direttiva;
3) il titolare del diritto ha
subito un danno in conseguenza del fatto che lo Stato non si è adeguato alla
direttiva o vi si è adeguato tardivamente o parzialmente.
Il criterio per risolvere il
possibile conflitto tra le norme italiane e quelle comunitarie è il criterio
della competenza, nel senso che il diritto comunitario si applica nelle materie
di competenza dell’UE e il diritto italiano nelle altre materie.
Nel caso di dubbio, il Giudice
italiano deve chiedere alla Corte di Giustizia europea se in una certa
situazione si applichi o meno il diritto comunitario (cosiddetto “rinvio
pregiudiziale”).
Qualora, però, la questione
riguardi diritti fondamentali, come il diritto alla salute, la Corte di
Giustizia ritiene che rientri nella sua competenza non solo l’interpretazione
del diritto comunitario, ma anche l’interpretazione degli atti statali, sempreché,
però, questi ultimi siano stati emanati per applicare la normativa europea
oppure deroghino alle libertà fondamentali riconosciute dall’UE (la teoria
secondo cui la Corte di Giustizia può giudicare anche gli atti statali prende
il nome di dottrina dell’incorporation, perché considera il diritto comunitario
come incorporato nel diritto statale).
Secondo la Corte Costituzionale,
però, le norme comunitarie non possono violare i principi fondamentali e i
diritti inviolabili previsti dalla Costituzione (cosiddetta teoria dei
controlimiti).
Nel caso in cui un Giudice
ritenga che una norma comunitaria violi detti principi o diritti deve operare
il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia chiedendogli di valutare se
detta norma sia valida. Qualora la Corte di Giustizia confermi la validità
della norma, il Giudice può rimettere la questione alla Corte Costituzionale
chiedendo la dichiarazione di illegittimità costituzionale non della norma
comunitaria, ma della legge di esecuzione del trattato limitatamente alla parte
in cui ha consentito l’introduzione nell’ordinamento interno della norma
comunitaria lesiva di tali principi o diritti.
Unione economica e monetaria
L'unione economica e monetaria è
formata dai Stati dell'UE nei quali circola, come moneta, l'Euro, il quale è
emesso dalla Banca Centrale Europea, nata nel 1998.
Tutti gli Stati dell'UE devono
rispettare determinate regole, come per esempio quella secondo cui, in uno
Stato, il rapporto fra disavanzo e PIL non può superare il 3%, mentre il
rapporto tra debito pubblico e PIL non può essere superare il 60%.
Diritti e doveri comunitari
I cittadini italiani hanno anche
la cittadinanza europea in forza della quale essi non sono soggetti ad altri
doveri, ma godono solo di ulteriori diritti rispetto a quelli nazionali, tra
cui il diritto di circolare, soggiornare e lavorare negli Stati comunitari
nonché il diritto di votare o essere votati al Parlamento europeo.
LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
Definizione e principi dell'attività amministrativa
Pubblica amministrazione in senso
soggettivo è il complesso formato dallo Stato e dagli altri Enti pubblici, come
le Regioni.
Pubblica amministrazione in senso
oggettivo è l'attività amministrativa, cioè l'insieme degli atti con i quali i
suddetti enti realizzano i fini generali perseguiti dallo Stato medesimo.
Un esempio di atto amministrativo
è l'espropriazione di un terreno appartenente ad un privato al fine di
costruirci una strada (cioè il trasferimento della proprietà del terreno dal
privato allo Stato, anche contro la volontà del privato stesso).
I principi su cui si basa
l'attività amministrativa, contenuti nell'art. 97 Cost., sono il buon
andamento, nel senso che l'attività amministrativa deve permettere il
conseguimento degli obiettivi stabiliti con il minor costo possibile, e
l'imparzialità, vale a dire che l'amministrazione non deve fare favoritismi.
L’organizzazione della Pubblica Amministrazione
L’organizzazione della Pubblica
Amministrazione può essere accentrata o decentrata a seconda che la funzione
amministrativa sia esercitata solo dagli organi centrali dello Stato ovvero
anche da organismi diversi.
La Pubblica amministrazione
italiana è, in base all'art. 5 Cost., decentrata.
Il decentramento amministrativo è
sia burocratico che istituzionale.
Il primo consiste nel
trasferimento di parte del potere statale dagli organi centrali dello Stato,
come il Governo, agli organi periferici dello stesso, come il Prefetto, che è
il rappresentante del Governo nella provincia.
Altro organo periferico dello
Stato, è, per esempio, il Sindaco, il quale può celebrare matrimoni che sono
validi anche al di fuori del Comune in cui è stato eletto.
Il decentramento istituzionale,
invece, consiste nel trasferimento di parte del potere statale dallo Stato ad
enti diversi da esso, come i Comuni; enti che collaborano con lo Stato per il
raggiungimento dei suoi fini.
Il principio di
sussidiarietà
La sussidiarietà è il principio
per il quale lo Stato esercita le attività di interesse generale solo quando
esse non possono essere esercitate da altri soggetti, come avviene nel caso in
cui occorra garantire l'uniformità del servizio su tutto il territorio
nazionale (si pensi all'amministrazione della giustizia).
La sussidiarietà può essere sia
verticale che orizzontale a seconda che i soggetti ai quali spetta l'esercizio
delle suddette attività siano enti amministrativi minori, come i Comuni, o i
privati.
La sussidiarietà verticale è
prevista dal primo comma dell'art. 118 Cost., per il quale “Le funzioni
amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio
unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato.
La sussidiarietà orizzontale è
prevista dall'ultimo comma dell'art. 118 Cost., per il quale lo Stato e gli
altri enti pubblici favoriscono l'iniziativa dei cittadini per lo svolgimento
di attività di interesse generale.
Occorre aggiungere che il
principio di sussidiarietà (verticale) vige anche nei rapporti fra Unione
Europea e Stati che ne fanno parte, nel senso che nei settori che non sono di
sua competenza esclusiva l'Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi
dell'azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli
Stati membri (art. 5 del Trattato sull'Unione Europea).