LO STATO

Lo Stato e i suoi elementi costitutivi

 

Lo Stato è un’organizzazione costituita da tre elementi: popolo, territorio e sovranità.

Il popolo è formato da persone, dette cittadini, le quali hanno sia diritti che obblighi nei confronti dello Stato.

Tra i diritti vi è quello di voto, mentre fra gli obblighi c’è quello di pagare le tasse.

Il concetto di popolo si differenzia da quelli di popolazione e di nazione.

La popolazione è l’insieme delle persone che si trovano sul territorio di uno Stato.

Queste persone possono essere cittadini, stranieri o apolidi.

Sono stranieri coloro che appartengono ad uno Stato estero.

Sono apolidi coloro che non hanno la cittadinanza di alcuno Stato (è apolide, per esempio, colui che abbia perso la cittadinanza italiana senza acquistare la cittadinanza di uno Stato straniero. Un caso in cui un cittadino italiano può perdere la cittadinanza si ha quando questi, avendo accettato un impiego pubblico da uno Stato estero, non obbedisca all’ordine del Governo italiano di lasciare tale impiego. In tale ipotesi, qualora la persona che abbia perso la cittadinanza italiana non acquisti la cittadinanza dello stato estero da cui dipende, diverrà apolide).

La nazione è l’insieme delle persone legate tra loro da un vincolo etnico, ossia di sangue, di lingua, di religione e di costumi.

Per esempio, la nazione italiana è costituita da persone che, prevalentemente, sono nate da italiani, parlano la lingua italiana, sono di religione cattolica, festeggiano le stesse ricorrenze (Natale, Pasqua, carnevale, etc.) e vestono tendenzialmente allo stesso modo (per esempio, gl’italiani non portano il turbante).

Le persone che appartengono alla stessa nazione possono far parte o meno di un medesimo Stato.

Se i cittadini di uno Stato appartengono prevalentemente ad un’unica nazione, si parla di Stati uninazionali, come l’Italia.

Se, invece, appartengono a diverse nazioni, si parla di stati plurinazionali, come la Svizzera, nella quale convivono persone di nazionalità francese, tedesca, italiana e ladina.

Il territorio è il luogo in cui lo Stato esercita il proprio potere.

Esso è formato dal suolo, dal sottosuolo, dallo spazio aereo sovrastante il suolo, dal mare territoriale e dal territorio flottante.

Il mare territoriale è la fascia di mare che, dalla costa, misura 12 miglia marine, cioè circa 22 km.

L’area di mare successiva al mare territoriale è detta extraterritoriale.

Occorre, però, dire che lo Stato può sfruttare le risorse naturali, dalla costa fino a 200 miglia marine (322 km circa), presenti nel mare (cosiddetta “zona economica esclusiva”) o sotto il mare (cosiddetta “piattaforma continentale”), come stabilito dalla Convenzione di Montego Bay del 10.12.1982.

Il territorio flottante è composto da navi ed aerei.

Riguardo a quest’ultimo, occorre precisare che navi ed aerei militari sono soggetti alle norme dello Stato al quale appartengono ovunque si trovino, mentre navi ed aerei civili vi sono soggetti solo se si trovino:

- quanto alle navi, nel mare territoriale dello Stato di appartenenza o nel mare extraterritoriale;

- quanto agli aerei, nello spazio sopra il suolo o il mare territoriale dello Stato al quale appartengono ovvero sopra il mare extraterritoriale.

La sovranità è il potere dello Stato.

Essa è sia interna che esterna.

La sovranità interna è il potere esercitato sul popolo.

La sovranità esterna consiste nell'indipendenza di uno Stato dagli altri e nella partecipazione dello Stato alla formazione del diritto internazionale, cioè delle norme che regolano i rapporti fra gli Stati. La sovranità esterna presuppone, quindi, il riconoscimento di uno Stato da parte degli altri Stati.

La sovranità interna si realizza mediante tre funzioni (dette anche “i tre poteri”), dello Stato: legislativa, amministrativa (o esecutiva) e giurisdizionale (o giudiziaria).

La funzione legislativa consiste nell’emanazione delle leggi contenenti le norme giuridiche, le quali sono regole obbligatorie e generali (che valgono, cioè, per tutti).

La funzione esecutiva consiste nell’applicare le norme giuridiche.

La funzione giurisdizionale consiste nell’accertare, attraverso i processi, quale siano le norme giuridiche da applicare nei casi concreti, risolvendo le liti e punendo i reati.

Per esempio: il Parlamento emana la legge che regola l'esame di maturità; il Governo dispone la nomina delle commissioni di esame; la Magistratura decide se annullare o meno la bocciatura di un alunno che contesti la regolarità del suo esame.

Al fine di evitare la concentrazione del potere nelle mani di una o di poche persone, nella maggior parte dei Paesi del mondo si attua la cosiddetta divisione dei poteri, nel senso che le tre funzioni dello Stato sono esercitate da organi diversi. In particolare, in Italia, la funzione legislativa è svolta dal Parlamento mediante l’emanazione di leggi, la funzione esecutiva è esercitata dal Governo tramite i decreti, e la funzione giurisdizionale è esplicata dalla Magistratura (cioè, dai Giudici) attraverso le sentenze.

Occorre aggiungere che la separazione dei poteri non è netta, nel senso che talora l’organo titolare di una funzione ha il potere di compiere atti che rientrano in una funzione diversa, come nel caso del Governo, il quale, in alcuni casi, ha il potere di emanare atti equivalenti alle leggi.

 

Forme di Stato.

La forma di uno Stato è data dal rapporto che c’è tra due elementi dello Stato: sovranità e territorio.

Le principali forme dello Stato sono tre: unitario, federale e regionale.

 

Lo Stato unitario, come la Francia, è quello in cui la sovranità sul territorio è esercitata da un solo governo.

Lo Stato federale, come gli Stati Uniti d’America, è composto da diversi Stati, detti federati, sul territorio dei quali viene esercitata una doppia sovranità: quella propria di ciascuno Stato federato e quella dello Stato federale. Quest'ultima è diretta a realizzare i fini comuni a tutti gli Stati federati, come la difesa militare dagli Stati stranieri.

Lo Stato regionale, come l'Italia, è una forma di Stato unitario, suddiviso, però, in Regioni, che godono di una notevole indipendenza rispetto al Governo dello Stato: esse, infatti, possono emanare leggi che, in alcune materie, prevalgono su quelle statali.

La differenza tra Stato federale e regionale sta nel fatto che nello Stato federale, il potere dei singoli Stati federati è maggiore rispetto a quello che, nello Stato regionale, hanno le Regioni.

 

Forme di Governo

La forma di Governo è determinata dal rapporto che c'è tra i poteri dello Stato.

 

Una prima distinzione tra forme di Governo è quella fra Monarchia e Repubblica.

Nella monarchia, Capo dello Stato è il Re o la Regina, che:

-          acquista il potere, di regola, per via ereditaria, cioè per il fatto di essere figlio, figlia o, comunque, parente di un altro Re o di un’altra Regina;

-          rimane in carica, cioè mantiene il suo potere, di solito, per tutta la vita.

Nella Repubblica, invece, Capo dello Stato è il Presidente (uomo o donna), che:

-          acquista il potere, di regola, per elezione, ossia per il fatto di essere scelto dal popolo;

-          rimane in carica, cioè mantiene il suo potere, fino alla scadenza del cosiddetto mandato, cioè dell’incarico che, con l’elezione, il popolo gli ha dato.

L’Italia è una Repubblica; il mandato del Presidente della Repubblica dura 7 anni.

 

Una seconda distinzione tra forme di Governo è quella fra Governo parlamentare, Governo presidenziale, Governo semipresidenziale e Governo direttoriale.

Nella prima, presente in Italia, il potere esecutivo è esercitato da un Governo formato da un Presidente del Consiglio e dai ministri nominati dal Capo dello Stato, ma con l’approvazione del Parlamento (la cosiddetta “fiducia parlamentare”); il Governo è revocabile solo dal Parlamento (la cosiddetta “sfiducia parlamentare”).

Nella seconda, vigente negli USA, il potere esecutivo è esercitato da un Governo formato dal Presidente della Repubblica (che è sia Capo dello Stato che del Governo) nonché dai ministri nominati e revocabili dal Presidente stesso, il quale è eletto direttamente dal popolo.

Nella terza, applicata in Francia, il potere esecutivo è esercitato da un Governo formato da un Primo Ministro e da ministri nominati dal Presidente della Repubblica, ma revocabili sia da lui che dal Parlamento. Il Presidente della Repubblica è eletto direttamente dal popolo.

Nella quarta, applicata in Svizzera, il potere esecutivo è esercitato da un Governo, detto Collegio federale, composto da 7 membri, presieduto a turno, ma sostanzialmente senza poteri, da uno di loro; il Collegio, nominato dal Parlamento (composto da due camere, il Consiglio nazionale e il Consiglio degli Stati), il quale, però, non può sfiduciare, cioè revocare, il Collegio.

 

 

Tabelle riassuntive

Forme di Stato

 

Forma di Stato (rapporto che c’è tra due elementi dello Stato: sovranità e territorio)

Stato unitario

Stato federale

Stato regionale

Esempio

Francia

Stati Uniti d’America

Italia

Soggetti che esercitano il potere

Un solo governo

Tanti governi quanti sono gli Stati, detti federati, oltre al governo centrale dello Stato federale

Un solo governo centrale, ma tante Regioni, ciascuna con un proprio potere, anche se minore di quello degli Stati federati

 

Forme di Governo (I)

Forme di Governo

Monarchia

Repubblica

Chi è il Capo dello Stato

Re/Regina

Presidente (uomo/donna)

Come acquista il suo potere

Per eredità

Per elezione

Per quanto tempo rimarrà in carica

Per tutta la vita

Fino alla scadenza del mandato, cioè dell’incarico (in Italia, 7 anni)

 

Forme di Governo (II)

 

Forme di Governo

Governo parlamentare

Governo presidenziale

Esempio

Italia

Stati Uniti d’America

Chi nomina il Governo

Presidente della Repubblica con l’approvazione (fiducia) del Parlamento

Presidente della Repubblica

Da chi è composto il Governo

Presidente del Consiglio e ministri

Presidente della Repubblica e ministri

Chi può revocare il Governo (cioè togliergli l’incarico di governare)

Parlamento

Presidente della Repubblica

 

Forme di Governo

Governo semipresidenziale

Governo direttoriale

Esempio

Francia

Svizzera

Chi nomina il Governo

Presidente della Repubblica

Parlamento

Da chi è composto il Governo

Primo ministro (non coincidente con il Presidente della Repubblica) e ministri

7 Ministri presieduti a turno simbolicamente da uno di loro

Chi può revocare il Governo (cioè togliergli l’incarico di governare)

Presidente della Repubblica  e Parlamento

Nessuno

 

Fini dello Stato

Lo Stato è una persona giuridica, ossia un soggetto di diritto distinto dalle persone che ne fanno parte, il quale è sorto per realizzare fini comuni a coloro che vi appartengono.

I fini essenziali dello Stato sono quelli di garantire:

- la sicurezza esterna (cioè, la difesa dagli altri Stati);

- la sicurezza interna (ossia dentro il proprio territorio);

 - il progresso del proprio popolo.

L’attività svolta dallo Stato per garantire la sicurezza è detta giuridica, mentre quella diretta ad assicurare il progresso è detta sociale, tanto che si definisce Stato sociale, o Welfare State, quello Stato, come l'Italia, in cui tale attività è particolarmente rilevante.

 

 

La Costituzione

Dallo statuto albertino alla costituzione

 

Nel 1848, il 4 marzo, il re Carlo Alberto, a causa delle rivolte popolari di quel periodo, concesse lo “Statuto Albertino”, con cui l’Italia divenne uno Stato liberale.

Il 28 ottobre 1922, il re Vittorio Emanuele III nominò, come Presidente del Consiglio, Benito Mussolini, capo del partito fascista, il quale instaurò la dittatura, caratterizzata dall’aumento dei poteri del Governo e dalla limitazione dei diritti dei cittadini.

Nel 1939 scoppiò la seconda guerra mondiale, alla quale l’Italia prese parte nel 1940.

La guerra comportò morti e povertà per la popolazione italiana, così rafforzando l’opposizione al fascismo, tanto che, nel 1943, il Re nominò il maresciallo Badoglio come capo del Governo in sostituzione di Mussolini. Il Governo Badoglio ordinò l’arresto di Mussolini e sciolse il partito fascista.

Nel 1945 finì la seconda guerra mondiale.

Nel 1946, il 2 giugno, gl'italiani, comprese, per la prima volta, le donne, votarono per scegliere tra Monarchia e Repubblica e per eleggere l'Assemblea Costituente, composta da 556 deputati, il cui compito era quello di approvare una nuova Costituzione.

Gl'italiani scelsero la Repubblica e l'Assemblea Costituente approvò la nuova Costituzione il 22.12.1947, che è entrata in vigore, cioè è diventata obbligatoria, l’1 gennaio 1948.

 

Definizione e caratteri della Costituzione repubblicana

La Costituzione italiana è la legge fondamentale dello Stato italiano per due ragioni:

- le altre leggi emanate sul territorio statale non possono, di regola, contrastare con essa,

- essa prevede e disciplina, sia pure in parte, le principali istituzioni dello Stato ed i diritti fondamentali dei cittadini.

Il carattere principale della Costituzione italiana è la rigidità, nel senso che essa, a differenza dello Statuto Albertino - non rigido, ma flessibile - può essere modificata solo con legge costituzionale, la quale, per essere approvata, richiede un procedimento più complesso (detto aggravato), rispetto al procedimento (definito ordinario) necessario per approvare le altre leggi dello Stato.

La Costituzione italiana presenta poi altri caratteri:

-          è votata, nel senso che è stata approvata dall’Assemblea Costituente, costituita dai rappresentanti del popolo italiano. Lo Statuto Albertino, invece, era stato concesso dal Re;

-          è lunga, nel senso che, a differenza dello Statuto, disciplina più dettagliatamente i diritti dei cittadini ed inoltre regola non solo i diritti civili e politici, ma anche quelli sociali ed economici;

-          è scritta, a differenza di altre Costituzioni, come, per esempio, quella inglese, quantomeno nel senso che in Gran Bretagna non vi è un testo unico definito Costituzione, essendovi, comunque, principi di natura costituzionale risultanti da vari documenti scritti e dalla consuetudine.

La Costituzione italiana prevede un organo - la Corte Costituzionale - il cui compito principale è quello di accertare, su richiesta di un giudice, se le leggi ordinarie contrastano con la Costituzione e, in tal caso, di dichiararle incostituzionali e, quindi, inapplicabili.

 

Struttura della Costituzione repubblicana

La Costituzione è composta da 139 articoli e da 18 disposizioni transitorie e finali.

I 139 articoli sono ripartiti fra principi fondamentali (artt. 1-12), parte prima (artt. 13-54) e seconda (artt. 55-139).

 

Principi fondamentali

I principi contenuti negli articoli costituzionali “1-12” sono i fondamenti del diritto italiano.

Essi possono essere così definiti:

- il principio democratico, per il quale il popolo esercita la sovranità (art. 1);

- il principio lavorista, per il quale il lavoro è il fondamento della Repubblica, la quale, quindi, deve promuovere l'occupazione (artt. 1 e 4);

- il principio liberale o personalista, per il quale la Repubblica tutela la persona umana (art. 2);

- il principio di uguaglianza, per il quale tutti sono uguali davanti alla legge (art. 3);

- il principio pluralista, per il quale la Repubblica promuove le formazioni intermedie (formazioni sociali di cui all’art. 2, come la famiglia, ed autonomie di cui all’art. 5, come i Comuni);

- il principio solidarista, per il quale si deve essere solidali l’uno con l’altro (art. 2);

- il principio pacifista, per cui l’Italia rifiuta, di regola, la guerra (art. 11).

Tra i principi fondamentali, ci occupiamo, qui, in particolare, di quelli previsti negli articoli 1, 2 e 3.

 

Art. 1 (in sintesi).

1. L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.

2. La sovranità appartiene al popolo.

Commento

L’art. 1 sancisce il principio democratico, per il quale è il popolo che ha il potere di governare.

La democrazia è, in Italia, sia diretta che indiretta.

È diretta quando il popolo esercita personalmente il potere, come nel caso del referendum con il quale i cittadini abrogano una legge.

È indiretta quando il popolo esercita il potere tramite i propri rappresentanti, come nel caso in cui elegge i parlamentari che, poi, emaneranno le leggi.

Coloro che desiderano diventare parlamentari devono candidarsi (cioè presentarsi per essere eletti) tramite un partito politico, il quale è un’associazione di individui aventi una visione di parte dei fini che lo Stato deve realizzare.

 

 

 

Art. 2 (in sintesi)

La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali in cui vive e richiede l'adempimento dei doveri di solidarietà.

Commento

I diritti inviolabili sono quelli previsti dalla Costituzione, come, per esempio, i diritti di libertà.

Essi, in quanto inviolabili, non possono essere eliminati dallo Stato, né ceduti dai loro titolari (cioè, da coloro che hanno il diritto); così, per esempio, un uomo non può cedere la propria libertà a favore di un altro uomo divenendone schiavo.

Le formazioni sociali di cui parla l’art. 2 sono tutte le aggregazioni alle quali le persone possono partecipare, come la famiglia, la scuola, i partiti politici, eccetera.

I doveri inderogabili di solidarietà sono quelli previsti nella Costituzione, come il dovere di contribuire alle spese pubbliche (e, quindi, di pagare le tasse).

 

Art. 3 (in sintesi)

1. Tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge.

2. È compito della Repubblica eliminare gli ostacoli economici e sociali che limitano di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini e, quindi, impediscono lo sviluppo personale e la partecipazione dei lavoratori all'organizzazione del Paese.

Commento

Il primo comma dell’art. 3 prevede il principio di uguaglianza formale (o di diritto), per il quale chi fa le leggi non può trattare in modo diverso situazioni eguali. Per esempio, non potrebbe stabilire che solo gli studenti maschi hanno diritto ad una borsa di studio.

Il secondo comma dell’art. 3 stabilisce, invece, il principio di uguaglianza sostanziale (o di fatto), per il quale il legislatore deve intervenire affinché tutti abbiano la possibilità di esercitare effettivamente i loro diritti. Per esempio, il legislatore deve provvedere affinché gli studenti che abitino in aree isolate possano frequentare la scuola, magari prevedendo un servizio di bus pagato dallo Stato.

Sebbene l’art. 3 preveda espressamente che solo i cittadini sono uguali davanti alla legge, esso si riferisce, in realtà, a tutti gli uomini, come si capisce dal collegamento tra gli articoli 2 e 3:

- l’art. 2 riconosce i diritti inviolabili all’uomo;

- i diritti inviolabili sono tutti quelli previsti dalla Costituzione, compreso, quindi, il diritto all'uguaglianza;

- tale diritto, è, pertanto, inviolabile e, come tale, in base all’art. 2, è riconosciuto a tutti gli uomini e non solo ai cittadini.

 

Le due parti della Costituzione

Relativamente alle due parti della Costituzione successive ai principi fondamentali, occorre dire che esse sono suddivise in gruppi omogenei di norme, detti titoli.

La parte prima, in particolare, relativa ai diritti e doveri dei cittadini, è ripartita in quattro titoli: rapporti civili (artt. 13-28); rapporti etico-sociali (artt. 29-34); rapporti economici (artt. 35-47); rapporti politici (artt. 48-54).

I principali diritti previsti nei suindicati rapporti sono i seguenti:

- nei rapporti civili: i diritti di libertà, come, ad esempio, la libertà personale (nel senso che non si può essere privati della propria libertà se non, di regola, per ordine di un giudice), le libertà di riunione, di associazione e di manifestazione del pensiero;

- nei rapporti etico-sociali, il diritto-dovere di mantenere i figli; i diritti alla salute e all'istruzione;

- nei rapporti economici, il diritto ad una retribuzione proporzionata al lavoro svolto; il diritto alla pensione; il diritto di scioperare; la libertà di iniziativa economica; il diritto di proprietà;

- nei rapporti politici, i diritti di voto, di associarsi in partiti politici, di partecipare ai pubblici concorsi; i doveri di difendere la patria, di pagare i tributi e di osservare la Costituzione e le leggi.

La parte seconda, riguardante l'ordinamento della Repubblica, è ripartita in sei titoli: il Parlamento (artt. 55-82); il Presidente della Repubblica (artt. 83-91); il Governo (artt. 92-100); la Magistratura (artt. 101-113); le Regioni, le Province, i Comuni (artt. 114-133); le garanzie costituzionali (artt. 134-139).

 

Disposizioni transitorie e finali

Le disposizioni transitorie sono norme che disciplinano il passaggio dalle norme precedenti all’emanazione della Costituzione al complesso di norme contenute nella Costituzione.

Un esempio di disposizione transitoria è la II, secondo cui “Se alla data della elezione del Presidente della Repubblica non sono costituiti tutti i Consigli regionali, partecipano alla elezione soltanto i componenti delle due Camere”.

Tale norma è transitoria in quanto regola il passaggio dal tempo in cui non tutte le Regioni erano state create al tempo – 1970 – in cui esse sono state tutte istituite.

Detta norma è stata, quindi, prevista per consentire l'elezione del Presidente della Repubblica nonostante la mancata istituzione delle Regioni ed in attesa della loro creazione.

 

Lo Stato e gli Stati

L’ordinamento internazionale: caratteristiche generali

Nozione

Il diritto internazionale disciplina i rapporti tra i soggetti della comunità internazionale (cioè Stati e organizzazioni internazionali).

Esso si differenzia dal diritto interno di ciascuno Stato, in quanto non ha carattere gerarchico, ma paritario.

Ciò significa che mentre il diritto interno prevede un ente - lo Stato - superiore ai cittadini e dotato del potere di imporre loro, anche con la forza, delle regole, il diritto internazionale non prevede un ente sovraordinato alle cui regole gli altri Stati sono automaticamente sottoposti.

E’, però, evidente che lo Stato trasgressore si espone a ritorsioni da parte degli altri Stati o a sanzioni da parte delle organizzazioni internazionali alle quali abbia eventualmente aderito.

Le fonti del diritto internazionale sono le consuetudini, i trattati e gli atti previsti dai trattati.

La consuetudine è l’uso seguito dagli Stati, come, per esempio, l’uso delle armi solo per difesa.

La consuetudine ha carattere generale e, quindi, si applica a tutti gli Stati, anche a quelli sorti dopo che l’uso è iniziato.

I trattati sono accordi tra Stati e, ovviamente, vincolano solo gli Stati che li firmano.

Gli atti basati sui trattati sono atti emanati se un Trattato li prevede, come, per esempio, le decisioni delle organizzazioni internazionali, come l’ONU.

ONU

L’Organizzazione delle Nazioni unite (ONU), di cui l’Italia fa parte, fu istituita nel 1945, con l’obiettivo principale di tutelare la pace nel mondo.

Nel caso di conflitti tra Stati, l’ONU può inviare dei caschi blu, ossia soldati che hanno il compito di tentare di riportare la pace.

NATO

La NATO (North Atlantic Treaty Organization), istituita nel 1949 con il Patto atlantico, è un’organizzazione politico-militare costituita allo scopo di proteggere i Paesi membri, tra cui l’Italia, dal rischio di attacchi militari e terroristici.

Il Patto Atlantico si fondava sulla convinzione che il mondo civilizzato si dividesse in due blocchi: occidentale, costituito in primo luogo dagli USA, e orientale, formato soprattutto dai Paesi dell’Est europeo, sotto l’egida dell’URSS (oggi Russia).

I Paesi non appartenenti all’uno o all’altro blocco, come i Paesi africani venivano etichettati come Terzo mondo, espressione oggi sostituita con Paesi in via di sviluppo.

L'Unione Europea

Evoluzione storica

La Seconda Guerra Mondiale fece maturare in alcuni Stati europei l'idea che fosse necessario integrarsi reciprocamente (creare, cioè, uno stabile legame tra loro) sia per ragioni economiche che politiche.

Sotto il profilo economico, si pensava che solo un mercato di dimensioni europee potesse rapportarsi su un piano di parità con le altre economie mondiali, come il mercato statunitense.

Dal punto di vista politico, si riteneva che uno stabile legame tra gli Stati europei, con la conseguente creazione di un organismo sovranazionale, avrebbe permesso non solo di superare i contrasti tra gli stessi, che avevano già portato a ben due guerre mondiali, ma anche di meglio cooperare alla pace nel mondo.

Il processo di realizzazione dell'unione tra gli Stati europei si è articolato in varie tappe.

Nel 1951 venne stipulato il Trattato istitutivo della CECA (Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio).

Nel 1957, con i Trattati di Roma, furono costituiti l'EURATOM (Comunità Europea dell'Energia Atomica) e la CEE (Comunità Economica Europea).

Questi primi Trattati, stipulati da soli sei Stati (Italia, Francia, Germania, Belgio, Olanda, Lussemburgo), stabilivano regole comuni limitatamente al campo economico e dell'energia atomica.

Nel 1987 entrò in vigore l'Atto Unico Europeo col quale fu realizzato il MEC (mercato unico europeo), caratterizzato dalla libera circolazione dei lavoratori, del denaro e delle merci.

Nel 1992, a Maastricht, in Olanda, fu stipulato il Trattato sull'Unione Europea, con il quale l'organismo “Comunità Economica Europea” venne denominato “Unione Europea”, per significare che il rapporto tra gli Stati europei non sarebbe più stato solo economico, ma anche politico. Il Trattato di Maastricht prevedeva, infatti, che gli Stati europei aderenti al Trattato avrebbero via via dovuto adottare la stessa moneta, avere una politica estera e di sicurezza comune e cooperare nel settore della giustizia; il Trattato introduceva pure la cittadinanza europea grazie alla quale i cittadini degli Stati europei avrebbero avuto diritti ulteriori rispetto a quelli riconosciuti dagli Stati di appartenenza.

Nel 1997 venne stipulato il Trattato di Amsterdam, entrato in vigore nel 1999, il quale ampliò le competenze comunitarie, i poteri del Parlamento Europeo ed i diritti dei cittadini europei, prevedendo interventi comuni a favore dell'occupazione.

Nel 2000 furono sottoscritti sia il Trattato di Nizza, entrato in vigore nel 2003, il quale, per facilitare le decisioni comunitarie, ridusse i casi in cui le stesse dovevano essere prese all'unanimità, sia la Carta di Nizza, la quale riconobbe a tutti gli uomini, europei e non, numerosi diritti riconducibili alle seguenti categorie: dignità della persona, libertà, uguaglianza, solidarietà, cittadinanza e giustizia.

Nel 2004 fu redatta la Costituzione europea, la quale, però, non è mai entrata in vigore, non essendo stata ratificata da tutti gli Stati aderenti all'Unione.

Nel 2007 venne sottoscritto il Trattato di Lisbona, entrato in vigore nel 2009, con il quale, tra l'altro, venne introdotta la possibilità di recedere dall'Unione.

Da quanto sopra appare evidente che nel corso del tempo, la CEE si sia evoluta: ha cambiato nome in Unione Europea, si è prefissata nuovi obiettivi, ha previsto diversi organi per realizzarli ed è aumentato il numero di Stati aderenti, i quali, dall'1.7.13, sono diventati 28, 19 dei quali hanno adottato l'Euro come moneta comune in sostituzione della loro vecchia moneta, come la Lira in Italia.

Istituzioni Unione Europea: elenco e durata

Gli organi dell'UE sono:

il Consiglio Europeo, formato dai Capi di Stato o di Governo degli Stati dell'UE;

la Commissione Europea, formata da 28 rappresentanti degli Stati comunitari, scelti dal Parlamento Europeo;

il Consiglio dell'Unione, formato dai Ministri degli Stati dell'UE;

il Parlamento Europeo, unico organo eletto dai cittadini europei;

l'Alto Rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, nominato dal Consiglio Europeo;

la Corte di Giustizia, formata da 28 giudici eletti dai Governi degli Stati membri.

I membri della Commissione, del Parlamento e l'Alto Rappresentante sono eletti per 5 anni, mentre i membri della Corte per 6 anni.

Atti dell'Unione Europea

Relativamente alle regole emanate dall'UE, occorre chiarire che il Consiglio Europeo fissa gli obiettivi da perseguire, la Commissione propone le regole per attuarli al Consiglio dell'Unione e al Parlamento che decidono se approvarle; successivamente, la Commissione esegue le regole approvate e, nel caso in cui qualcuno dica che sono state violate, la Corte di Giustizia accerta l'eventuale violazione.

I principali atti contenenti le regole dell'UE sono i regolamenti (applicabili direttamente agli Stati membri e ai loro cittadini), e le direttive (applicabili solo agli Stati, i quali devono emanare leggi che contenenti le regole previste nelle direttive stesse). Altri atti comunitari sono le decisioni (applicabili a singoli Stati), le raccomandazioni (consigli provenienti dall'UE agli interessati) e i pareri (consigli richiesti all'UE).

Più in particolare, gli atti contenenti le regole dell’UE, ossia le fonti del diritto comunitario, si distinguono in due categorie: fonti di diritto convenzionale e fonti di diritto derivato.

Le fonti di diritto convenzionale sono costituite dai trattati che hanno istituito l’UE (trattati istitutivi) o che hanno modificato quelli istitutivi.

Le fonti di diritto derivato sono rappresentate dagli atti che possono essere emanati nei casi stabiliti con i trattati.

Le fonti di diritto derivato sono, quindi, subordinate rispetto alle fonti di diritto convenzionale e, pertanto, non possono essere in contrasto con esse.

Le fonti di diritto derivato si distinguono in obbligatorie e non obbligatorie.

Queste ultime sono date dalle raccomandazioni, cioè, consigli agli Stati, e dai pareri, ossia punti di vista espressi in merito a determinate questioni. Invero, vi sono altri atti non vincolanti, come, per esempio, i libri verdi e i libri bianchi: i primi contengono le linee di massima in merito ad un dato tema su cui la Commissione si consulta con altri organi europei; i secondi contengono le proposte, basate solitamente sull’esito delle consultazioni in merito ai libri verdi, su cui la Commissione intende ancora consultarsi con altri organi europei.

Le fonti di diritto derivato obbligatorie sono costituite dai regolamenti, dalle direttive e dalle decisioni.

I regolamenti sono obbligatori per tutti, sia Stati che cittadini.

Le direttive sono obbligatorie per tutti gli Stati, ma non per i cittadini: gli Stati, infatti, devono emanare le leggi che rendano obbligatorie le direttive nel loro territorio.

Le decisioni sono obbligatorie solo per i singoli soggetti cui si riferiscono.

Occorre osservare che, in pratica, ci sono casi in cui:

- i regolamenti non sono immediatamente applicabili e, quindi, di fatto, non sono, almeno temporaneamente, obbligatori;

- le direttive riguardano non solo gli Stati, ma anche i cittadini.

I regolamenti non sono immediatamente applicabili qualora la loro applicazione sia subordinata all’emanazione di norme comunitarie ulteriori; in tal caso, infatti, essi saranno applicabili solo dopo l’emanazione di tali norme.

Le direttive riguardano tutti, Stati e cittadini, allorquando ricorrano le seguenti tre condizioni:

1) esse disciplinano tutti gli elementi di una data situazione, nel senso che lo Stato deve solo emanare norme che riproducono le norme delle direttive; ove, invece, lo Stato debba non solo riprodurre le norme delle direttive, ma anche disciplinare uno o più elementi delle situazioni regolate, allora le direttive non potranno essere obbligatorie per i cittadini (esempio: se una direttiva dice che ogni Paese dell’UE in cui si è stati assicurati per almeno un anno è tenuto a pagare una pensione di vecchiaia una volta raggiunti i 65 anni, è evidente che la direttiva ha disciplinato completamente la situazione dei sessantacinquenni e lo Stato si deve solo limitare a riportare il contenuto della direttiva in una legge; se, invece, una direttiva dice che ogni Paese dell’UE in cui si è stati assicurati per almeno un anno è tenuto a pagare una pensione a 60 anni se nel Paese in cui si richiede la pensione si è svolto, per almeno un anno, un lavoro usurante, è evidente che la direttiva non ha disciplinato completamente la situazione dei lavoratori che devono andare in pensione a 60 anni, in quanto lo Stato deve prima stabilire quali sono le persone che svolgono un lavoro usurante);

2) dalla direttiva deriva un diritto del cittadino nei confronti dello Stato (cosiddetto effetto diretto verticale) e non, quindi, nei confronti di un altro cittadino (cosiddetto effetto diretto orizzontale);

3) il termine per emanare la legge di attuazione della direttiva è scaduto.

Nel caso in cui le direttive hanno come destinatari sia gli Stati che i cittadini, si dice che essi hanno effetto diretto.

Anche i trattati possono produrre effetti diretti, ossia essere applicabili direttamente nei confronti dei cittadini.

Le condizioni sono le stesse previste per le direttive, ma, nel caso dei trattati, essi possono produrre anche effetti diretti orizzontali, cioè essere applicabili su richiesta di un cittadino nei confronti di un altro cittadino.

Qualora non ricorrano le suddette condizioni, le Direttive non possono produrre effetti diretti, ma possono comunque, sussistendo altri presupposti, un effetto utile, cioè il diritto al risarcimento del danno subito a causa della mancata o tardiva emanazione della legge che deve riprodurre il contenuto della direttiva oppure a causa dell’emanazione di una legge che riproduca solo parzialmente il contenuto stesso.

I presupposti che devono sussistere affinché le direttive producano l’effetto utile sono tre:

1) dalla direttiva deriva un diritto del cittadino nei confronti dello Stato (cosiddetto effetto diretto verticale) e non, quindi, nei confronti di un altro cittadino (cosiddetto effetto diretto orizzontale);

2) il contenuto del diritto può essere determinato in base alla direttiva;

3) il titolare del diritto ha subito un danno in conseguenza del fatto che lo Stato non si è adeguato alla direttiva o vi si è adeguato tardivamente o parzialmente.

Il criterio per risolvere il possibile conflitto tra le norme italiane e quelle comunitarie è il criterio della competenza, nel senso che il diritto comunitario si applica nelle materie di competenza dell’UE e il diritto italiano nelle altre materie.

Nel caso di dubbio, il Giudice italiano deve chiedere alla Corte di Giustizia europea se in una certa situazione si applichi o meno il diritto comunitario (cosiddetto “rinvio pregiudiziale”).

Qualora, però, la questione riguardi diritti fondamentali, come il diritto alla salute, la Corte di Giustizia ritiene che rientri nella sua competenza non solo l’interpretazione del diritto comunitario, ma anche l’interpretazione degli atti statali, sempreché, però, questi ultimi siano stati emanati per applicare la normativa europea oppure deroghino alle libertà fondamentali riconosciute dall’UE (la teoria secondo cui la Corte di Giustizia può giudicare anche gli atti statali prende il nome di dottrina dell’incorporation, perché considera il diritto comunitario come incorporato nel diritto statale).

Secondo la Corte Costituzionale, però, le norme comunitarie non possono violare i principi fondamentali e i diritti inviolabili previsti dalla Costituzione (cosiddetta teoria dei controlimiti).

Nel caso in cui un Giudice ritenga che una norma comunitaria violi detti principi o diritti deve operare il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia chiedendogli di valutare se detta norma sia valida. Qualora la Corte di Giustizia confermi la validità della norma, il Giudice può rimettere la questione alla Corte Costituzionale chiedendo la dichiarazione di illegittimità costituzionale non della norma comunitaria, ma della legge di esecuzione del trattato limitatamente alla parte in cui ha consentito l’introduzione nell’ordinamento interno della norma comunitaria lesiva di tali principi o diritti.

Unione economica e monetaria

L'unione economica e monetaria è formata dai Stati dell'UE nei quali circola, come moneta, l'Euro, il quale è emesso dalla Banca Centrale Europea, nata nel 1998.

Tutti gli Stati dell'UE devono rispettare determinate regole, come per esempio quella secondo cui, in uno Stato, il rapporto fra disavanzo e PIL non può superare il 3%, mentre il rapporto tra debito pubblico e PIL non può essere superare il 60%.

Diritti e doveri comunitari

I cittadini italiani hanno anche la cittadinanza europea in forza della quale essi non sono soggetti ad altri doveri, ma godono solo di ulteriori diritti rispetto a quelli nazionali, tra cui il diritto di circolare, soggiornare e lavorare negli Stati comunitari nonché il diritto di votare o essere votati al Parlamento europeo.

 

LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Definizione e principi dell'attività amministrativa

Pubblica amministrazione in senso soggettivo è il complesso formato dallo Stato e dagli altri Enti pubblici, come le Regioni.

Pubblica amministrazione in senso oggettivo è l'attività amministrativa, cioè l'insieme degli atti con i quali i suddetti enti realizzano i fini generali perseguiti dallo Stato medesimo.

Un esempio di atto amministrativo è l'espropriazione di un terreno appartenente ad un privato al fine di costruirci una strada (cioè il trasferimento della proprietà del terreno dal privato allo Stato, anche contro la volontà del privato stesso).

I principi su cui si basa l'attività amministrativa, contenuti nell'art. 97 Cost., sono il buon andamento, nel senso che l'attività amministrativa deve permettere il conseguimento degli obiettivi stabiliti con il minor costo possibile, e l'imparzialità, vale a dire che l'amministrazione non deve fare favoritismi.

L’organizzazione della Pubblica Amministrazione

L’organizzazione della Pubblica Amministrazione può essere accentrata o decentrata a seconda che la funzione amministrativa sia esercitata solo dagli organi centrali dello Stato ovvero anche da organismi diversi.

La Pubblica amministrazione italiana è, in base all'art. 5 Cost., decentrata.

Il decentramento amministrativo è sia burocratico che istituzionale.

Il primo consiste nel trasferimento di parte del potere statale dagli organi centrali dello Stato, come il Governo, agli organi periferici dello stesso, come il Prefetto, che è il rappresentante del Governo nella provincia.

Altro organo periferico dello Stato, è, per esempio, il Sindaco, il quale può celebrare matrimoni che sono validi anche al di fuori del Comune in cui è stato eletto.

Il decentramento istituzionale, invece, consiste nel trasferimento di parte del potere statale dallo Stato ad enti diversi da esso, come i Comuni; enti che collaborano con lo Stato per il raggiungimento dei suoi fini.

Il principio di sussidiarietà

La sussidiarietà è il principio per il quale lo Stato esercita le attività di interesse generale solo quando esse non possono essere esercitate da altri soggetti, come avviene nel caso in cui occorra garantire l'uniformità del servizio su tutto il territorio nazionale (si pensi all'amministrazione della giustizia).

La sussidiarietà può essere sia verticale che orizzontale a seconda che i soggetti ai quali spetta l'esercizio delle suddette attività siano enti amministrativi minori, come i Comuni, o i privati.

La sussidiarietà verticale è prevista dal primo comma dell'art. 118 Cost., per il quale “Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato.

La sussidiarietà orizzontale è prevista dall'ultimo comma dell'art. 118 Cost., per il quale lo Stato e gli altri enti pubblici favoriscono l'iniziativa dei cittadini per lo svolgimento di attività di interesse generale.

Occorre aggiungere che il principio di sussidiarietà (verticale) vige anche nei rapporti fra Unione Europea e Stati che ne fanno parte, nel senso che nei settori che non sono di sua competenza esclusiva l'Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri (art. 5 del Trattato sull'Unione Europea).

 

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